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 2014  gennaio 07 Martedì calendario

GOA, DAI FIGLI DEI FIORI AGLI YUPPIES INDIANI E RUSSI


Da paradiso psichedelico degli hippy, seguaci della new age e sognatori in fuga dall’Occidente a nuova Las Vegas per ricchi indiani.
Il mito di Goa, l’ex colonia portoghese nel sud dell’India famosa negli Anni 70 per i figli dei fiori è definitivamente tramontato.

Niente più spinelli e chitarre sulle spiagge, ma champagne e escort di alto bordo. Per gli yuppies di New Delhi, Mumbai o Bangalore Goa è il tempio del peccato, città del divertimento sfrenato e di piaceri proibiti nel resto del Paese.
Nella settimana tra Natale e Capodanno sono arrivati 300 mila indiani, soprattutto nelle spiagge del Nord, da Calangute ad Anjuna, che sono quelle più famose per le droghe e la vita notturna. Hanno fatto schizzare i prezzi degli hotel alle stelle e mandato in tilt il traffico. Al mega festival di musica elettronica Sunburn, l’effigie di una dea indù dorata sormontava il palcoscenico dove per tre giorni si sono esibiti deejay da tutto il mondo, l’ingresso costava oltre 5 mila rupie, ovvero 58 euro, uno stipendio di un operaio, ma c’era il pienone.
«Quest’anno c’è stato un calo netto di turisti dall’Europa - dice Claudia, un’italiana che gestisce un ristorante a Palolem, nell’estremità sud , più incontaminata - ma è stato compensato dall’aumento di indiani e russi che sono una clientela molto diversa da quella a cui eravamo abituati».
Se si vuole vedere ancora qualche sopravvissuto della «beat generation» degli Anni 60, che arrivavano in India passando dall’Afghanistan, bisogna andare a Chapora, un villaggio di pescatori ai piedi di uno dei tanti forti costruiti dai portoghesi che sbarcarono su queste spiagge circa 500 anni fa con cannoni e crocifissi. Al Sai Ganesh, un baretto che vende spremute di fianco a un albero sacro, si possono ancora incontrare degli «irriducibili» della beat generation, ormai di una certa età, con la barba bianca e le borse di tela a tracolla. Vengono a «svernare» qui, approfittando degli affitti a buon prezzo e di tre mesi di sole tropicale garantito. Li si vede anche al mercatino delle pulci di Anjuna del mercoledì, altro luogo simbolo dei nostalgici di una Goa che non c’è più: gli ex capanni di paglia sono stati rimpiazzati da ristoranti lussuosi e le case dei pescatori sono diventati resort con aria condizionata.
Nel capoluogo di Panjm, la «Cannes dell’India» per via del festival del cinema che si tiene a novembre, si sono moltiplicati i casinò galleggianti che per 100 euro offrono cena, serata danzante e fiche per la roulette. Il gioco d’azzardo non viene visto con favore dal centro-destra del Bharatya Janata Party (Bjp) che da un anno governa l’ex colonia. C’è chi vorrebbe chiudere i casinò, per evitare che la città si trasformi in una capitale del vizio. Lo scorso aprile è stata negata la licenza a un Playboy Club perché «trasmetteva volgarità».
Dal 1961, quando le truppe indiane hanno «invaso» Goa con i bombardamenti, l’identità portoghese del milione e mezzo di abitanti si è andata sempre più affievolendo. Secondo le statistiche della Commissione Elettorale negli ultimi cinque anni, in media sei cittadini di Goa al giorno hanno chiesto il passaporto portoghese (a cui hanno diritto se nati prima del 1961) e restituito quello indiano in quanto non è prevista la doppia nazionalità. «Se ne vanno perché qui non c’è lavoro e pensano di poter trovare fortuna in Europa, ma non hanno ancora capito che non è più così», afferma con amarezza Rex Fernandes, proprietario di un bar nel vecchio quartiere di Fontainhas. Qui si sente ancora parlare portoghese e ci sono le osterie dove si beve il porto dietro la chiesa di Nostra Signora dell’Immacolata Concezione, su una collinetta che era il punto di approdo dei mercanti prima di risalire il fiume Mandovi, dove era situata la vecchia Goa, la «Roma d’Oriente», per i suoi monumentali edifici sacri. «Il problema - spiega ancora - è che il business ce lo hanno portato via quelli di Mumbai e di New Delhi che vengono qui a comprare terreni e case».
Da qualche anno, inoltre, i russi hanno letteralmente «colonizzato» alcuni centri turistici del nord scatenando la rabbia dei locali. Goa è diventata una delle destinazioni più gettonate per le loro vacanze. A dicembre ne sono arrivati 30 mila. Ogni giorno al piccolo aeroporto di Dabolim, che presto sarà trasferito in un nuovo scalo, arrivano cinque charter dalla Russia.
«Hanno la forza dei muscoli e a noi non resta che subire - dice Fernandes -. Abbiamo sempre accolto tutti quanti, dagli hippies agli israeliani dopo il servizio militare, e sopportato ogni eccesso, ma non possiamo permettere che i russi ci levino il lavoro». Sono stati accusati di aver creato un servizio di taxi per trasportare i propri connazionali sulle spiagge di Morjim, battezzata la «piccola Russia» e dove i menù e le tastiere degli internet cafè sono in cirillico. Da diversi anni, inoltre, si parla di una mafia russa che controlla droga e prostituzione, ma Mosca ha sempre negato.
«C’è troppa corruzione ed è impossibile lavorare qui a Goa», taglia corto Pascal, emigrato da anni a Dubai, ma come molti rimasto fedele alle sue tradizioni religiose. A Chandor, paesino nell’entroterra, nel giorno dell’Epifania sfilano tre re Magi a cavallo scelti dalla parrocchia tra gli adolescenti del posto. «Quest’anno hanno selezionato mio nipote Marlon - spiega orgoglioso - e per la mia famiglia è davvero una benedizione».
La sospensione dello sfruttamento, decisa dalla Corte Suprema, delle abbondanti miniere di ferro, ha costretto Goa a ripiegare sul turismo. Lo sviluppo edilizio è selvaggio con conseguenze devastanti per l’ambiente e non solo. Tre giorni fa è crollato un palazzo di cinque piani in costruzione a Canacona, dove sorge Palolem, uccidendo 17 operai. Il residence con piscina, costruito da una società di Mumbai, era destinato ai nuovi ricchi di questa Las Vegas indiana.