Niccolò Zancan, La Stampa 7/1/2014, 7 gennaio 2014
STAMINA, LA ONLUS “COMMERCIALE” VANNONI BLINDA GADGET E MAGLIETTE
Contro ogni stroncatura, Davide Vannoni oppone imperterrito la sua versione dei fatti: «Mai preso un soldo. Mai truffato nessuno. Ho agito solo in nome dei pazienti». Ma allora perché registrare il marchio Stamina alla stregua di un marchio commerciale?
La domanda è datata 1° luglio 2013. Numero TO2013C002013, Ministero dello Sviluppo Economico, Ufficio Italiano Brevetti e Marchi. È estate, ma sono già giorni difficili per l’inventore della presunta cura con le cellule staminali. Nove diversi pazienti sono andati a denunciarlo dai carabinieri del Nas. La procura di Torino ipotizza il reato di associazione a delinquere finalizzata alla truffa. Vannoni lo sa. È stato iscritto nel registro degli indagati e convocato per un interrogatorio, si è avvalso della facoltà di non rispondere. «Nature», la più autorevole rivista scientifica del mondo, pubblica i risultati di un’inchiesta che destituisce il suo metodo di qualunque fondamento. In sostanza: Stamina si basa su uno studio firmato da sette ricercatori ucraini nel 2002. Lo copia persino nelle fotografie utilizzate. Nulla ne sostiene l’efficacia. Eppure, mentre succede tutto questo, il professor Vannoni si rivolge allo studio Jacobacci&Partners.
Vuole mettere al sicuro il marchio Stamina. Chiede che sia depositato, e quindi protetto da eventuali usurpatori, per diverse classi commerciali: preparati per pulire, cosmetici, lozioni per capelli, dentifrici, prodotti farmaceutici e veterinari, prodotti igienici, alimenti e sostanze dietetiche. Chiede la registrazione persino per tutto quello che potrebbe diventare gadget e industria collaterale: articoli di abbigliamento, scarpe, cappelleria, educazione, formazione, divertimento, attività sportive e culturali. Non esattamente l’ambito in cui si muove una onlus, cioè una «associazione di solidarietà sociale senza fini di lucro».
Ma come si scoprirà dopo, neppure questo è vero. Nel senso che «Stamina Fondazione Onlus» non è mai stata effettivamente iscritta nel registro delle onlus. Il marchio commerciale, invece, da luglio è in cassaforte. L’esclusiva sugli sviluppi legati a «Stamina» è protetta. Il simbolo è un piccolo cerchio dentro il quale si muovono i tracciati di alcune cellule. E forse non è un caso che proprio in quel periodo - sempre estate 2013 - alle spalle di Davide Vannoni sia comparsa la «Medestea Research and Production», una multinazionale del farmaco e del parafarmaco. A domanda precisa: «Con quali soldi si è comprato la Porsche?». Vannoni ci ha risposto: «L’ho comprata con i 400 mila euro ricevuti da Gianfranco Merizzi di Medestea, l’azienda che supporta Stamina. Ma l’ho rivenduta. Ho usato quei soldi per i pazienti di Brescia. E ora me la sto ricomprando in leasing». Giusto per dire di quale pasta è fatta questa storia.
Ora si può leggere anche tutto il percorso intrapreso da Davide Vannoni per cercare di mettere al sicuro il suo metodo. La prima richiesta di brevetto è datata 10 dicembre 2009, quasi contemporaneamente ai primi articoli usciti sulla Stampa. Titolo: «Procedimento di estrazione e differenziamento di cellule staminali mesenchimali e loro impiego terapeutico». Sono i giorni dello scantinato di via Giolitti 41. Del sottoscala di «Cognition» - la società di Vannoni specializzata in ricerche di mercato - trasformato in laboratorio posticcio. Ha portato a Torino i ricercatori conosciuti a Karkhov, in Ucraina, dove lui stesso ha cercato di farsi curare una semi paresi facciale. E se davvero crede all’efficacia del metodo, in ogni caso cerca di appropriarsene.
La cura che vuole brevettare è quasi la fotocopia di un loro vecchio studio. Il 10 dicembre 2010, Vannoni ritira la domanda di brevetto in Italia e la presenta negli Stati Uniti. È all’interno di quella documentazione che allega una fotografia copiata di sana pianta. È lì che viene spiegato il presunto metodo: «Di seguito l’invenzione verrà descritta nel dettaglio tramite esempi relativi alle figure annesse». Frasi così: «L’ampolla viene messa in un incubatore per un periodo compreso fra i venti minuti e le due ore, preferibilmente fra 40 minuti e un’ora e mezza, in modo da raggiungere lo stato di maturazione desiderata...». È studiando questa richiesta di brevetto che «Nature» formulerà la sua stroncatura.
A leggerla oggi, però, la vera sorpresa è un’altra. Come inventrice del metodo Stamina compare la biologa Erica Molino, mentre Davide Vannoni si ritaglia la veste più marginale del «richiedente». Insomma: il metodo Vannoni, copiato dai ricercatori ucraini, in realtà sarebbe stato inventato da una delle sue collaboratrici storiche. La biologa Molino, appunto. Ed eccola, oggi, anche lei indagata, al centro dello scandalo: «Conosco quei brevetti. Non sono stati registrati a mia insaputa. Ma io credo che i processi si facciano nelle aule di giustizia. Non voglio comparire. Non mi sono mai esposta e voglio continuare così. Se avete altre domande, rivolgetevi a Vannoni».