Lorenzo Tozzi, Il Tempo 6/1/2014, 6 gennaio 2014
«IO, MODERNA GIULIETTA ORA ÉTOILE»
Da anni i suoi capelli biondo oro insieme alla sua personale espressività la distinguono tra le fila di solisti e primi ballerini del Teatro dell’Opera di Roma. I grandi ruoli classici la romana Gaia Straccamore (che Menegatti chiamava scherzosamente Stranamore) li ha interpretati ormai quasi tutti, da Giselle alla Silfide, da Giulietta a Odette. Cresciuta nel vivaio dell’Opera di Roma ed esaltata dalla direzione Fracci, che la volle prima ballerina nel 2006, corona ora la sua carriera con la prestigiosa nomina ad étoile (per ora unica dopo il ritiro di Laura Comi, ora alla guida della Scuola di Via Ozieri, e Mario Marozzi), una nomina comunicata e festeggiata ieri sera alla fine della recita di Les Notes de la nuit in cui Gaia interpreta la Notte bianca su musiche dal vivo di Luis Bacalov.
Questo riconoscimento è una tappa di arrivo o di partenza?
«Non era atteso e mi ha preso di sorpresa, ma non è assolutamente una tappa di arrivo, perché al di là c’è sempre qualche altra meta o obiettivo da raggiungere».
Cambierà qualcosa da oggi in poi nella sua vita d’artista?
«No, perché affronterò le cose con lo stesso impegno, ma certo sentirò una maggiore responsabilità perché rappresento il teatro e questo mi onora. È un riconoscimento che mi esorta a portare in alto sempre il nome del nostro Teatro. Ci vuole forza perché più si sale e più si richiedono grandi sacrifici».
Si possono conciliare vita privata e artistica?
«Ho un compagno medico. Quindi quando esco dal teatro riesco a staccare completamente dal lavoro e non porto a casa problemi e ansie. I ballerini sono pieni di stress, di fissazioni, di problemi. Eppoi ho una famiglia splendida che mi ha sempre sostenuto perché noi ballerini siamo soggetti ad alti e bassi, a crisi personali. Dalla mamma napoletana ho preso la capacità di sdrammatizzare i problemi ed essere razionale, dal papà romano la testardaggine e la disciplina mentale».
Quali i ruoli che le hanno dato più soddisfazione?
«Giulietta e Giselle sono quelli che sento di più. La Giulietta di Cranko me la ha cucita addosso la Fracci. È un ruolo che ballerei tutti i giorni: mi piace perché non è preso dalle favole e riesco ad esprimervi tutta una gamma di sentimenti. Giselle invece è il capolavoro in assoluto del balletto: la prima volta ho pianto tutto il giorno».
E quali i ruoli che vorrebbe affrontare ancora?
«La Manon di Macmillan e Onegin di Cranko perché amo i balletti narrativi a me più congeniali in quanto sono romantica anche se aperta anche al contemporaneo».
Ha avuto un modello o uno stimolo?
«In realtà ne ho avuti molti. Ho avuto la grande fortuna di studiare nella scuola di ballo diretta dalla Terabust, poi in teatro come direttori ho avuto persone di alto livello. Ognuno mi ha dato qualcosa: Giuseppe Carbone mi ha dato i primi ruoli, Amodio l’estro, poi dieci anni con Fracci che non posso che ringraziare per avermi insegnato il repertorio, i sentimenti, il modo di stare in scena, infine Micha che ha approfondito il lavoro su me stessa perché lavora con me su nuove creazioni: crea su di me e io mi adatto. Si lavora insieme e ci capiamo al volo».
Quale è lo stato di salute della compagnia di danza dell’Opera?
«Adesso col Lago abbiamo chiamato tanti aggiunti ed in scena c’erano molte persone. Avere più cigni e più cambi è significativo nonostante la situazione. Oggi saremo una quarantina oltre ad una ventina con chiamata diretta che sono con noi da anni».
Una danzatrice può avere una famiglia ed una vita normale?
«Ogni tanto abbiamo bisogno di normalità, di una vita fuori dalla scatola del teatro, che dà molto e chiede anche molto. Ogni tanto ho bisogno di calma per ritemprarmi. Oggi vivo alla giornata senza fare progetti, ma non escludo di poter avere figli in futuro».
Si sente una donna fortunata?
«Certamente, perché ho visto i frutti del mio impegno. Ma è una fortuna meritata: niente mi è stato regalato Credo nella fortuna, ma bisogna anche crearsela».
Quale è l’ X factor necessario alla danza? Più fisic o più tecnica?
«Tutte e due. Ci vuole il mix giusto: una non esclude l’altra. La tecnica è il mezzo attraverso cui ci esprimiamo come danzatori. Noi siamo artisti, non solo atleti. L’X factor è il talento che quando entri in scena ti consente di catturare l’ attenzione anche stando fermo».
Essere danzatrice oggi è diverso rispetto a 50 anni fa?
«È cambiato il mondo esterno. Una volta c’era la diva e la danza era al centro dell’ attenzione. Ora ci sono molte altre cose e la danza non ha attenzione che merita. I ballerini si adeguano quindi con la moda e la tv, ma sono strade che possono fuorviare».