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 2014  gennaio 06 Lunedì calendario

POSTA PAGATA DUE VOLTE E MAI CONSEGNATA


I cittadini-clienti delle Poste sono presi a schiaffi due volte se lettere, cartoline e pacchi vengono recapitati a fantasia, quando capita capita, o non vengono consegnati del tutto, come ha documentato Il Fatto con l’inchiesta delle pagine precedenti. La prima volta vengono malmenati con un servizio scadente. La seconda volta vengono fregati perché costretti a pagare in due occasioni, con l’affrancatura e con i soldi del bilancio statale. Lo Stato, cioè tutti noi contribuenti, paghiamo un bel po’ di quattrini alle Poste affinché la corrispondenza venga consegnata sicura e puntuale e perché anche l’Italia possa considerarsi una nazione civile dal punto di vista postale. A dicembre 2012, per esempio, il costo a carico dello Stato per il cosiddetto «servizio universale» postale nel triennio 2009-2011 era pari a circa 1 miliardo di euro, cioè più di 330 milioni l’anno in media. In cambio l’azienda delle lettere dovrebbe consegnare la corrispondenza in modi e tempi prestabiliti.
TUTTA LA corrispondenza, in ogni parte del paese, sia le spedizioni in cui Poste guadagnano sia quelle in cui rimettono, dalle lettere ai pacchi alle raccomandate, dalle cartoline alle comunicazioni commerciali, la pubblicità, le bollette, cioè la cosiddetta posta massiva. Se non accade è come se venisse violato un contratto, cioè, detto in altri termini, è come se gli italiani venissero truffati. Trascurando il servizio postale, le Poste guidate da una vita da Massimo Sarmi, tradiscono il patto sottoscritto con lo Stato italiano. É una faccenda grave, economicamente rilevante, che incide sulla qualità della vita.
Per lo svolgimento del servizio universale lo Stato, estremamente fiducioso nei confronti delle Poste, ha affidato all’azienda di Sarmi un mandato ampio sia dal punto di vista delle funzioni consentite rispetto alle direttive europee sia dal punto di vista temporale, avendo esteso fino al 2026 la validità del relativo contratto di programma. Sul rispetto dell’accordo e quindi sugli standard di qualità postale vigila da anni un soggetto terzo, una società privata che si chiama Izi, molto attiva in ambito statale. Un’azienda che lavora anche per il ministero del Tesoro che è l’azionista unico delle Poste, per la Rai, per Invitalia e infine per Rfi e Trenitalia delle Fs. Il rapporto di Izi con Poste è di lunga durata, rinnovato periodicamente con regolari gare alle quali però capita che solo Izi sia l’unico concorrente in lizza. Altro fatto singolare è che Izi in base alla legge è pagata dalle Poste, circa 1 milione e 200 mila euro l’anno. In pratica questo significa che l’azienda pubblica tira fuori i quattrini per pagare il suo controllore, ed anche se forse è tutto regolare, non sembra molto logico. Nonostante questi vincoli, in più di un’occasione Izi ha trovato le Poste in difetto anche se poi non risulta che l’accertamento di violazioni abbia avuto conseguenze di rilievo. Anzi, ad ogni scadenza di mandato Sarmi viene confermato, come se per l’azienda delle lettere stesse facendo così bene che nessuno al suo posto saprebbe far meglio. Sarmi è alle Poste da 12 anni e governi di centrodestra e centrosinistra, senza differenza, gli hanno rinnovato la fiducia per quattro volte di fila. Ed ora che siamo di nuovo alla vigilia di una scadenza, si sta di nuovo profilando la possibilità molto concreta che il fortunato manager resti inchiodato al suo posto. Lui, per la verità, si sarebbe trasferito volentieri alla Telecom di cui in gioventù era stato un dirigente di primo piano con l’incarico di supervisione sugli acquisti. O in subordine anche all’Alitalia. Ma in un caso e nell’altro i fatti hanno poi preso una piega diversa da quella immaginata. Alla Telecom il manico è finito in mano agli spagnoli che a Sarmi non pensano proprio; all’Alitalia probabilmente comanderanno gli arabi di Etihad che dell’amministratore delle Poste forse ignorano perfino l’esistenza. A 66 anni è però escluso che Sarmi si ritiri in buon ordine in pensione. Proprio con la vicenda Alitalia si è in pratica comprato l’imperitura riconoscenza governativa tirando fuori 75 milioni di euro senza i quali l’aumento di capitale in extremis non sarebbe andato a buon fine costringendo la compagnia di bandiera a portare mestamente i libri in tribunale.
ALL’AZIONISTA STATO sembra che importi assai poco se le Poste consegnano davvero la corrispondenza o se ne fregano. Al ministero del Tesoro sembra interessi solo che a fine anno l’azienda di Sarmi chiuda i bilanci in utile (1 miliardo di euro circa nel 2012). Stando così le cose è ovvio che l’amministratore di Poste si concentri su quelle attività che portano tanti soldi in cassa e che di fatto consideri lettere e raccomandate come una sopravvivenza del passato, poco lucrosa e tutto sommato inutile. Oggi le Poste fanno di tutto, dalla banca (Bancoposta) alle assicurazioni (Poste Vita), dalla gestione dei telefoni alla vendita delle pentole e dei Gratta e vinci in uffici trasformati in empori degli anni Duemila dove è a mala pena tollerata la presenza di quelle poche, residue attività legate alla ragione sociale postale.