Gian Antonio Orighi, La Stampa 6/1/2014, 6 gennaio 2014
“E ORA SPARISCO” L’ULTIMO MISTERO DEL MITICO SUBCOMANDANTE
Svanito nel nulla. Dal 2007 Rafael Sebastían Guillén Vicente, nome di battaglia Subcomandante Insurgente Marcos, il più celebre mito rivoluzionario latino-americano degli ultimi 30 anni, ha fatto perdere le sue tracce. L’ideologo con il passamontagna e l’eterna pipa in bocca lo aveva promesso sei anni fa: «Mi ritirerò per un pezzo». Così il mitico guru della sinistra mondiale ha mantenuto la parola. Nessuno sa dove viva e che cosa faccia. Non si è fatto vedere neppure per il 20º anniversario della fondazione della organizzazione guerrigliera messicana Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (Ezln), di cui è stato l’ideologo, il capo militare ed il portavoce, nel paesino di San Cristobal de las Casas, nella regione azteca del Chiapas che ha reso famosa nel mondo, lo scorso 1 di gennaio.
Ma il filosofo ex-combattente, 56 anni, autobattezzatosi anche «Delegato Zero», il guru che ha affascinato scrittori del calibro di Manuel Vázquez Montalbán, Gabriel García Márquez, Edoardo Galenao, José Saramago. E pensatori come Noam Chomsky, politoligi come Regis Debray ( per l’Italia il più modesto Fausto Bertinotti ), ha voluto essere presente lo stesso, con un comunicato che riafferma le sue doti letterarie. E che comincia con una citazione di Herman Melville, l’autore di Moby Dick.
«Siamo nel dicembre del 2013, fa freddo come vent’anni fa e, adesso come allora, c’è una bandiera che ci protegge: la ribellione - esordisce nel suo ultimo messaggio -. Abbraccio tutti i compagni e compagne zapatoste e ricordo in modo particolare quelli che sono morti affiché tutti, in un domani che deve ancora giungere, possano vedere il giorno come bisogna farlo, cioè con lo sguardo ed il cuore a testa alta».
Il leader che portò sulla ribalta planetaria la lotta degli indigeni del Chiapas, che ha rinverdito il mito del Che Guevara diventando una calamita per i giovani, soprattutto europei, alla ricerca disperata di una figura che sostituisse tutti quelle del passato finiti nella spazzatura della storia, è sempre lo stesso. Ironico e pungente. E se la prende con Wikipedia, Twitter e Facebook.
«Da un pezzo sostengo che la maggior parte delle biografie non solo altro che menzogne documentate e a volte, non sempre, scritte male - spara lo studioso accanito di Althusser, Derida e Foucault ed ammiratore del Che -. La maggior parte delle biografie, come quelle di tutti i presidenti messicani, dovrebbero essere catalogate come “storie romanzate” o “fiction”. Oggi giorno, con Internet, i twits, i “facebook” ed i blog, i miti biografici arrotondano le loro frodi e, voilá, si ricostruisce la storia di una vita, o suoi frammenti, che non ha quasi niente a che vedere con la storia reale. Ma non importa, perché la biografia è pubblicata, stampata, circola, è letta, citata, recitata... come una menzogna».
Dopo aver concluso con «Libertà, libertà, libertà» e «Che i nostri passi siano tanto grandi come i nostri morti», il Subcomandante, figlio di due modesti mobilieri e con 7 fratelli, aggiunge 2 post scriptum. Nel secondo, sottilinea: «Se voi chiedete cosa ha fatto l’EZLN per le comunità indigene, io rispondo con la testimonianza diretta di decine di migliaia di nostri compagni e compagne. Ma voi cosa avete fatto in questi 20 anni?».
La memoria di questo «Desaparecido» è ancora vivissima, almeno in Messico. Lo storico Enrique Krauze, nel suo libro «Redentori: idee e potere in America Latina», lo pennella cosí: «Era il 1º gennaio del ’93, stava entrando in vigore il Trattato di Libero Commercio con Usa e Canada, che presumibilmente simbolizzava l’ingresso del Messico nella modernità, e la sua insurrezione armata ricordò al Paese i problemi che lo ancoravano al passato. Era come se fosse precipitato un meteorite su di noi, ma non dallo spazio siderale, Bensì dal passato».
I morti, in quel gennaio del ’93, nel Chiapas, furono centinaia. Ma bastarono per catapultare il Subcomandante Insurgente Marcos in tutto il planeta. Il guerrigliero non se lo aspettava. nella sua ultima intervista, nel dicembre del 2007, ammetteva: «La nostra rivolta, per nostra sorpresa, divenne un simbolo. Come il passamontagna. Ci chedevano di toglierlo e noi rispondemmo: d’accordo, ma anche voi, politici, toglietevelo». E Krauze ricorda che il movimento, che era di origine indigena, aveva un leader bianco: «Ciò che contò era che non era un indigeno messicano, perchè in messico c’è molto razzismo. Lui sapeva arrivare alla popolazione urbana e sapeva tradurre, in spagnolo, lingua poco parlata nel Chiapas, ciò che volevano quelle comunità».
Entrato nella guerriglia nell’84, poi sostenitore dell’abbandono della lotta armata a cambio della concessione dei «Caracoles» (lumache in castigliano, ossia minicipi autonomi ed auto-governati, ne esistono oggi 29), Marcos non sostenne, nelle presidenzia li del 2006 il candidato della sinistra Andrés López Obrador, che perse per mezzo punto di distacco. Fu un errore storico che diede la vittoria alla destra. Il subcomandante non ha mai fatto autocritica ma forse per questo si è ritirato nel silenzio.