Piero Bianucci, La Stampa 6/1/2014, 6 gennaio 2014
CORRI A CASA IN TUTTA FRETTA C’È UN FOTONE CHE TI ASPETTA
Il 2015 sarà l’Anno Internazionale della Luce. Lo ha deciso l’Unesco, il braccio culturale delle Nazioni Unite. Suona bene, anno internazionale della luce, suscita sentimenti di ottimismo, e non è solo un’impressione. Ventisei tra le maggiori associazioni scientifiche del mondo e centinaia di aziende hanno già assicurato il loro contributo organizzativo. Il 2015 potrebbe segnare un cambio d’epoca, la transizione dall’era elettronica all’era fotonica. Cioè da tecnologie che utilizzano gli elettroni a tecnologie che utilizzano i fotoni, le particelle di luce.
Non ne siamo consapevoli, ma viviamo immersi tra apparecchi dalle origini ottocentesche anche quando si chiamano iPhone. Gli elettroni sono particelle con carica elettrica negativa scoperte da Thomson nel 1896. Le loro applicazioni erano iniziate ancora prima della scoperta: la pila di Volta è del 1801, il telegrafo del 1837. La radio di Marconi è coetanea della scoperta di Thomson. Il fotone è più giovane, ma di poco: nasce da un’idea di Einstein datata 1905, quella che gli ha dato il Nobel. Nove anni che pesano. Mentre l’era elettronica è tuttora in espansione, l’era fotonica è soltanto agli inizi. Ma pur sempre inizi importanti: laser, fibre ottiche, pannelli fotovoltaici, sensori Ccd nelle camere fotografiche. Gli sviluppi potranno essere grandiosi, oggi neppure immaginabili. Il biblico «fiat lux» non è archeologia, è il futuro.
Nel suo documento l’Unesco parte dal ruolo centrale che la luce ha nelle attività umane. Fin dalle applicazioni più semplici e quotidiane: illuminazione, intrattenimento (il cinema è un gioco di luci e di ombre), musica (un laser legge i cd e i dvd). Nell’illuminazione c’è ancora un ampio spazio per migliorare. Si può fare più luce con meno energia: le lampadine a incandescenza, che dall’anno scorso sono fuori legge nell’Unione Europea, sprecavano sotto forma di calore il 95 per cento dell’elettricità assorbita, i Led rendono dieci volte di più e stanno appena affacciandosi al mercato di massa. Tutti usiamo dispositivi fotonici nel cellulare, nelle macchine fotografiche, nelle telecamere: però poi la fruizione avviene con mezzi elettronici. Eppure i fotoni offrono notevoli vantaggi sugli elettroni: la maggiore velocità possibile in natura, una massa nulla, una varietà di energie dalle onde radio ai raggi gamma. Non dimentichiamo che è luce anche quella infrarossa che usiamo azionando il telecomando, quella ultravioletta che ci abbronza, la radiazione X che usiamo per la Tac, i raggi gamma applicati per sterilizzare gli alimenti.
Meravigliosi sono gli orizzonti che apre la conoscenza scientifica della luce. Il mondo appartiene alle piante: il 97 per cento della biomassa è vegetale e nutre il 3 per cento rappresentato dal regno animale, umanità inclusa. Le piante esistono perché tre miliardi di anni fa la natura ha inventato la fotosintesi: un fotone arrivato dal Sole sposta qualche elettrone nascosto nelle foglie e, da acqua che è nella pianta e anidride carbonica che è nell’aria, forma zuccheri, cioè immagazzina energia solare per renderla disponibile ad altri usi, differiti nel tempo. Jacob Moleschott, fisiologo olandese che nel 1860 De Sanctis chiamò in cattedra all’Università di Torino, benché «duro» positivista, sintetizzò il miracolo della fotosintesi con parole poetiche: «la vita è aria intessuta con la luce».
Luce e meccanica dei quanti sono tutt’uno; inestricabile intreccio di onda e particella, la luce è la «cosa» più quantistica con cui entriamo continuamente in contatto. Qui la ricerca corre: dai dati della nostra carta di credito criptati a prova di pirata al teletrasporto, si può sognare.
È sotto forma di luce anche tutta l’informazione che ci arriva dall’universo. Le stelle, con i loro fotoni, fanno il solletico alla retina dei nostri occhi e ci raccontano a che distanza si trovano, che temperatura hanno, di quali elementi chimici sono fatte. Per raccogliere quella luce l’Europa sta costruendo un telescopio il cui specchio avrà un diametro di 39 metri, da confrontare con i 7 millimetri della nostra pupilla e i 6 metri del telescopio spaziale Webb, che sostituirà Hubble quando finalmente la Nasa riuscirà a lanciarlo. Ed è luce, sia pure nelle microonde, quella che ha raccolto il satellite Planck per mostrarci com’era l’universo 13,7 miliardi di anni fa, poco dopo il Big bang.
Si può calcolare che tutta la luce che ci arriva dall’universo (Sole escluso) è meno di una lampadina dell’albero di Natale. Ma quante cose ci ha fatto capire! Motivo di più per combattere l’inquinamento luminoso che fa sparire le stelle in un chiarore ottuso. Anche questo sarà un obiettivo del 2015. L’Anno Internazionale della Luce non è una formalità. Con iniziative come questa l’Unesco promuove ricerca e divulgazione, propone obiettivi all’industria, prefigura una politica della scienza su scala globale.