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 2014  gennaio 06 Lunedì calendario

IL PECCATO CAPITALE DI UNA CITTÀ IN DISSESTO

IL PECCATO CAPITALE DI UNA CITTÀ IN DISSESTO –

È dura da credere. Ma c’è un farmacista, in Italia, che vendendo le medicine riesce perfino a rimetterci una barca di soldi. Si tratta del Comune di Roma. Le farmacie comunali hanno 362 dipendenti e il Campidoglio ha già tirato fuori 15 milioni per tappare i buchi pregressi. Ma per rimetterle in sesto ce ne vorranno altri 20. Dice tutto la verifica affidata alla Ernst & Young che si è resa necessaria per comprendere la reale situazione. Gli esperti hanno scoperto uno scostamento di 7,3 milioni nell’attivo rispetto ai dati scritti nel bilancio 2011. Quasi tre milioni solo la differenza fra le «rimanenze di magazzino» contabilizzate e quelle accertate: 9,1 milioni contro 6,2. Sono cifre rivelate da un dossier che il consigliere comunale radicale Riccardo Magi sta per pubblicare sul sito internet Opencampidoglio.it. Il primo di una serie di fascicoli scottanti dedicati allo scenario impressionante delle municipalizzate romane.
Ventisei società, più una marea di controllate: oltre cinquanta quelle di Acea (energia e acqua), Ama (rifiuti) e Atac (trasporti). Tre gruppi che da soli hanno qualcosa come 31.338 dipendenti, ovvero l’85 per cento del personale di tutte le partecipate comunali, che si aggira intorno alle 37 mila unità. Circa diecimila in più rispetto ai 26.800 dipendenti degli stabilimenti Fiat in Italia. Senza contare i 25 mila dipendenti diretti dell’amministrazione comunale.
Sostengono i tecnici che Roma Capitale ha un disavanzo strutturale di circa 1,2 miliardi l’anno. Ed è proprio sulla galassia delle società comunali che gravano le responsabilità maggiori di una situazione, in assenza di interventi, ai limiti del dissesto. L’Atac, per esempio. Con un numero di stipendi paragonabile a quello dell’Alitalia ha accumulato in dieci anni perdite per 1,6 miliardi. Negli ultimi cinque anni si sono avvicendati al suo vertice ben quattro amministratori delegati e un numero imprecisato di presidenti e consiglieri, senza riuscire a rimetterla in carreggiata. Il contratto di servizio costa al Comune una cifra che si aggira intorno ai 400 milioni l’anno, ma per il 2014 la richiesta era di oltre 500.
La verità è che queste aziende, e non è certo una particolarità di Roma, sono state spesso interpretate dalla politica, anche con pesanti complicità sindacali, alla stregua di poltronifici o gigantesche macchine clientelari, piuttosto che strumenti per fornire servizi essenziali alla città da gestire oculatamente. Salvo poi trovarsi di fronte a sorpresine al pari di quella spuntata nell’ultimo bilancio dell’Ama, che dà notizia di una raffica di arbitrati innescati dalla società titolare della discarica di Malagrotta. Alcuni dei quali già conclusi nel 2012 in primo grado con la condanna dell’azienda pubblica a pagare alla ditta che fa capo a Manlio Cerroni, tenetevi forte, la bellezza di 78,3 milioni di euro. Ma leggere l’elenco delle controversie in cui è incappata la municipalizzata dei rifiuti, indebitata con le banche per 670 milioni, somma paragonabile ai ricavi di un anno, e capace di assumere 1.518 persone fra il 2008 e il 2010, strappa anche qualche amaro sorriso: quando salta fuori che fra le innumerevoli cause in cui è protagonista l’Ama ce n’è persino una con l’Atac. Che va avanti da almeno sette anni, fra sentenze ricorsi e controricorsi, per la gioia degli avvocati. E chissà quanto durerà ancora.
Il tempo del presidente Piergiorgio Benvenuti, esponente di Fratelli d’Italia, scade invece giovedì 9 gennaio, quando l’assemblea dovrà nominare il suo successore: incrociamo le dita. Al contrario il presidente dell’Acea Giancarlo Cremonesi, nominato dal centrodestra, seduto su una dozzina di poltrone metà delle quali pubbliche nonché socio di un gruppo di imprese edili e immobiliari, è in una botte di ferro. Questo perché in piena campagna elettorale la precedente amministrazione comunale procedette elegantemente al rinnovo dei vertici, confermando in blocco tutto il consiglio.
Con clausole tali che la sostituzione prematura comporterebbe comunque il pagamento dei loro emolumenti fino all’aprile 2016. E che emolumenti. Al presidente Cremonesi, 408 mila euro l’anno. All’amministratore delegato e direttore generale Paolo Gallo, un milione 318 mila euro più un appartamento da 4.300 euro al mese ai Parioli e automobile adeguata. Agli altri sette consiglieri, una media di 120 mila euro ciascuno. Chi sono? Due rappresentanti del socio francese Gdf, una dirigente del Comune, l’ex parlamentare del Pdl ed ex assessore della giunta Alemanno Maurizio Leo, Francesco Caltagirone junior, il consorte dell’ex Guardasigilli Paola Severino nonché ex commissario Consob (l’Acea è quotata in Borsa) Paolo Di Benedetto, e il segretario generale della dalemiana fondazione Italianieuropei Andrea Peruzy.
Da una società del genere sarebbe naturale attendersi utili a palate. Invece nel 2012 i profitti netti sono stati di appena 77 milioni e anche se nei primi nove mesi del 2013 hanno superato i 100, restano striminziti. Certi fatti, del resto, parlano da soli. Negli ultimi cinque anni i debiti sono cresciuti di circa un miliardo, toccando 2 miliardi e mezzo. Ed è di qualche mese fa la scelta di fondere due società energetiche del gruppo, una delle quali (Acea energia spa) ha accumulato in 18 mesi perdite per 56 milioni.
Ma tutto va avanti come nulla fosse. Almeno se è vero che l’ufficio del personale diretto da Paolo Zangrillo, incidentalmente fratello del medico personale di Silvio Berlusconi, ha proceduto qualche giorno fa all’assunzione di un nuovo capo della comunicazione nella persona di Stefano Porro, ex capoufficio stampa del ministro dello Sviluppo dell’ultimo governo del Cavaliere, Paolo Romani, Passera e Zanonato. Accade mentre è da un mese senza incarico il vecchio responsabile Maurizio Sandri, licenziato due anni fa dopo essere stato parcheggiato a lungo su un binario morto per ragioni politiche (aveva collaborato in passato con amministrazioni di centrosinistra), e reintegrato all’inizio di dicembre dal giudice del lavoro. E accade in una struttura, quella delle relazioni esterne, dove sono in 25. Compreso il capo ufficio stampa Salvo Buzzanca, incidentalmente fratello minore dell’attore Lando Buzzanca nonché, ha ricordato Ferruccio Sansa sul Fatto Quotidiano, zio di Massimiliano Buzzanca: figlio di Lando e compagno di Serena Dell’Aira, collaboratrice di Cremonesi.