Roberta Scorranese, La Lettura, Corriere della Sera 5/1/2014, 5 gennaio 2014
IL MESTIERE DELL’ESORDIENTE
Primo, l’intuito: nel 1981 Elvira Sellerio fissò negli occhi l’allora sessantenne Gesualdo Bufalino (all’epoca un anonimo professore di Comiso) e lo sfidò con un ironico «Scommetto che lei ha un romanzo nel cassetto». Secondo, la prontezza di spirito: placido, Bufalino rispose con un brillante «No signora, ne ho due». Terzo, il momento giusto: il romanzo Diceria dell’untore esplose fra le mani di un autore non più giovane, certo, però colto nella sua voce più matura. Quella giusta .
Perché l’esordio letterario racchiude un’alchimia che somiglia a quella amorosa: guai a sbagliare tempo, tono, persona; si muore (librescamente) e non si torna più in vita. Sarà questa sfumatura d’irrazionalità così incongruente con il determinismo (economico, tecnologico) che colora il nostro tempo a sedurre le centinaia di migliaia di persone che ogni anno inviano il proprio manoscritto alle case editrici italiane? E sarà stata questa partita a scacchi con la propria identità creativa a far sì che 5 mila aspiranti autori abbiano inviato un inedito alle selezioni di Masterpiece , il talent letterario di Rai3 (con FremantleMedia e Rcs Libri)?
Di certo quella degli aspiranti narratori è una galassia che mai come in questo periodo è stata in continua trasformazione: il self-publishing (l’auto-pubblicazione attraverso apposite piattaforme), i blog, i siti di opere online, le case editrici che, più o meno a pagamento, per anni si sono alimentate con questa smania scrittoria. A questo panorama vanno aggiunte due variabili: la crisi del mercato dei libri (-6,3% il giro d’affari nel 2012; cifre Nielsen 2012) e i dati ancora troppo stitici sulla lettura (una famiglia su dieci non possiede alcun libro in casa, il 63,6% ne ha al massimo 100; dati Istat 2012).
Questa combinazione curiosa di scarso amore per i libri e di frenesia pubblicandi fa sì che qualcosa come trenta manoscritti al giorno si depositino sulle scrivanie della Mondadori e alcuni di questi arrivino sul tavolo di Carlo Carabba, 33enne editor alla narrativa. «Cifre approssimative — precisa — però realistiche: negli ultimi anni c’è stato un certo incremento degli arrivi all’Ufficio Manoscritti». Lui, nel 2013, ne ha esaminati poco meno di mille, tra italiani e stranieri, e ne ha indicati appena trenta per la pubblicazione. Pochi? «No, il giusto — commenta Carabba — perché non basta lanciare un autore, bisogna anche curarlo, farlo crescere. Il fatto è che oggi scriviamo moltissimo: social network, mail, messaggini, chat. Basta poco perché qualcuno arrivi a sentirsi pronto per la pubblicazione, senza però sapere che un conto è saper scrivere, un altro è essere scrittori. Va però detto che noto un miglioramento nella qualità degli esordi».
Sì, perché qui entra in gioco un altro aspetto interessante: leggiamo poco, è vero, però siamo assorbiti da altre forme espressive. Le serie televisive ben fatte, certi blog a tema, social network di fotografie che hanno la qualità di ottimi racconti. Gianluca Foglia, direttore editoriale della Feltrinelli, si dice d’accordo, ma aggiunge: «Anche in passato la scrittura si è nutrita d’altro. Per dire: se non ci fosse stata una certa stagione cinematografica non avremmo mai avuto autori come Veronesi, De Carlo o Baricco». Vero, ma oggi la dimestichezza con la parola scritta è ben maggiore: ci esprimiamo molto con i segni grafici e frequentare costantemente i social , mettendo per iscritto sensazioni, delusioni o gioie, fa sì che poco per volta ci costruiamo una voce originale. Un’identità alfabetica. C’è l’umorista, il lirico, il cronista delle passioni, il cinico.
E così (a differenza di qualche anno fa) l’esordiente-tipo non si limita al racconto autobiografico o a narrare la storia della propria famiglia. «Va oltre, sperimenta nuovi generi — interviene Fabrizio Cocco, editor della narrativa alla Longanesi — per esempio il fantasy . Ci arrivano moltissimi manoscritti assimilabili a questo filone e devo dire che negli ultimi tempi gli esordienti che si cimentano nella letteratura di genere , dal giallo al fantasy, sono molto migliorati». Stando a un calcolo approssimativo, il fantastico e il giallo-noir sono tra i generi più frequentati dagli «aspiranti» anche se l’invito di Cocco (in questo caso ai giallisti) è chiaro: «Uscite dalla provincia italiana, provatevi con il thriller vero, prendete di petto il male e non abbiate paura».
Osate insomma, perché la sensazione è questa: si cerca di esordire con timore, seguendo strade già battute e di successo. Le scrivanie degli editori sono ingombre di «Sicilie colorite» alla Camilleri, di libri-denuncia alla Gomorra , di storie in corsetto, guêpière e pizzi erotici. Però, se guardiamo i grandi esordi degli ultimi anni, vediamo che editori, mercato e pubblico hanno premiato ben altro. Hanno applaudito al romanzo generazionale firmato da Alessandro Piperno in Con le peggiori intenzioni , dove guardava piuttosto a Proust o a Saul Bellow; hanno premiato il romanzo di formazione, con il successo di La solitudine dei numeri primi di Paolo Giordano; oggi guardano con favore agli innesti tra sentimenti e territorio che fertilizzano i libri di Silvia Avallone.
È questo che manca agli esordienti, il coraggio? «Certo, se si leggesse di più e meglio si troverebbe la voce giusta per una maggiore originalità», commenta Cocco, che sottolinea come al torneo letterario «IoScrittore» organizzato dal gruppo Gems sono arrivati ben 1.500 manoscritti. «Certo, anche da parte di noi editori serve uno sforzo — aggiunge Carabba — : bisogna guardare con attenzione nel mare delle auto-pubblicazioni e cogliere anche da lì, se non l’autore adatto, quantomeno le personalità più interessanti». In questo, a muoversi tra i primi è stata la Newton Compton, che ha «scovato» la selfie Anna Premoli, pubblicandola poi (con successo) su carta. Certo, ci sono premi letterari riservati alle opere prime, come il «Calvino» che ha rivelato nomi come Susanna Tamaro, Paola Mastrocola o Flavio Soriga.
Ma Foglia introduce un ulteriore tema profondo: quest’epoca fatta di interconnessioni cambia la scrittura stessa. «Non dico che l’autore abbia bisogno di un isolamento fanatico — afferma — però oggi il narratore comunica più direttamente con il pubblico, dialoga con i social , assorbe messaggi, indicazioni, annusa il mercato, legge le classifiche. Questo, anche se involontariamente, incide sulla scrittura, che, a volte, può perdere parte dell’autonomia per rispondere a sollecitazioni ad essa estranee».
Una scrittura meno autarchica, dunque, e più intrisa di mondo. Ecco perché l’esordiente (lo vediamo tutti i giorni nei commenti che arrivano al blog del «Corriere della Sera» Officina Masterpiece , dedicato agli aspiranti autori) ha una voce strana, singolare, spesso sicura di sé fino a sfiorare l’alterigia, come se parlasse a nome di un universo, una massa. E l’autopromozione diventa un aspetto importantissimo: ci si mette in gioco, ci si mette la faccia. Anche rischiando l’errore più comune tra gli esordienti: il cliché, lo stereotipo. Gemma Trevisani, editor alla narrativa italiana alla Rizzoli, fa notare: «Ci si aspetta lo scarto, la crepa nella narrazione, che ci stupisca e ci faccia pensare di essere davanti a qualcosa di nuovo».
E infine, ogni «aspirante Calvino» ricordi due cose: mai scrivere una lettera di accompagnamento troppo sicura di sé e mai inviare una raccolta di poesie a un editore che in catalogo non prevede versi. Meglio conoscere prima la signora Sellerio di turno (quantunque lei resti indimenticata), per poter rispondere con spirito come Bufalino: «No, signora, non ho un romanzo nel cassetto, ne ho due».