Augusto Parboni, Il Tempo 30/12/2013, 30 dicembre 2013
SHALABAYEVA, NON ESISTONO INTRIGHI INTERNAZIONALI– [LA VERA STORIA DI ALMA SHALABAYEVA]
Questa è la vera storia di Alma Shalabayeva, la moglie di un ex latitante tornata da eroina in Italia 3 giorni fa e ripartita per Ginevra. Ed è la vera storia anche del marito della signora madre di quattro figli, un uomo detenuto in Francia per gravi reati. Una storia che finora nessuno ha voluto raccontare così com’è, senza ipotesi fantasiose, ricostruendo le tappe della vicenda e i delicati equilibri tra magistratura, polizia, avvocati della donna, di Mukthar Ablyazov e dei figli della coppia. E anche una storia di «interessi», nella quale ruotano milioni e milioni di euro. Si tratta di una vicenda che ha coinvolto anche il mondo politico, i rapporti internazionali e la diplomazia di diversi Paesi. E che non è ancora terminata perché c’è un’inchiesta penale in corso, condotta dai magistrati della Capitale, e inoltre perché sarebbe stata la stessa Alma Shalabayeva a sottolinearlo senza mezzi termini mentre stava per salire sull’aereo che la riportava in Kazakistan partendo da Ciampino: «Presto risentirete parlare di me». E così è stato. Tre giorni fa si è addirittura presentata in conferenza stampa per ringraziare l’Italia che, politicamente parlando, ha dato il peggio di sé tra scaricabarili e l’inutile siluramento di un prefetto che ha pagato per tutti, e per la pavidità di alcuni. Ma come si è arrivati al «polverone Shalabayeva»? È iniziato lo scorso maggio, quando l’ambasciatore kazako a Roma avverte il nostro Paese che un connazionale ricercato, Mukthar Ablyazov, si trovava in una villa a Casal Palocco. La polizia, il 28 maggio, si precipita a effettuare un sopralluogo intorno all’abitazione alle porte di Roma dove ci doveva essere il marito di Shalabayeva dopo riscontri Interpol. Durante quest’attività, gli agenti notano uomini che stavano a loro volta eseguendo un «sopralluogo» per conto di un’agenzia straniera. Dopo averli ascoltati, la polizia decide di compiere la perquisizione di casa di notte. All’interno presenti molte persone. Alla fine i poliziotti sequestrano 50 mila euro in contanti (che qualcuno inizialmente aveva detto che erano stati rubati dalla polizia, quando in realtà erano ben nascosti in casa), molti gioielli e strumentazione tecnologica per compiere bonifiche e intercettazioni. Del ricercato nessuna traccia. A questo punto in Questura ci sono Alma Shalabayeva e il cognato, che aveva con sé un permesso di soggiorno lettone e viene rilasciato. Nel frattempo, la figlia di sei anni della donna, dopo le dovute autorizzazioni del Tribunale dei minori, viene affidata temporaneamente alla zia, con la quale resta nella villa (una società austriaca pagava l’affitto). Shalabayeva, che non ha quasi mai pronunciato una parola in queste prime ore, ha esibito un passaporto diplomatico del Centroafrica. Il documento viene sottoposto all’attenzione della polizia di frontiera per verificarne l’autenticità ed emerge che è falso: la donna non consegna altro documento alle forze dell’ordine italiane né fa alcun cenno ad eventuali altri documenti. Nel contempo anche la Farnesina risponde ufficialmente che la donna con quelle generalità non gode di alcun status diplomatico. A questo punto la documentazione in mano alla polizia viene inviata alla procura di Roma (che ha poi aperto un fascicolo per falso e ha indagato la donna) e al giudice di pace che doveva convalidare il rimpatrio della donna, che arriverà entro le 48 ore. E dalla sera del 29 al 31 maggio si trova al Centro (Cie) di Ponte Galeria. Il 31 maggio, un consigliere kazako si presenta dalle forze di polizia sostenendo che la sera sarebbero partiti con un loro aereo per il Kazakistan da Ciampino per tornare a casa. Contemporaneamente vengono effettuati controlli a livello internazionale sul marito di Shalabayeva ed emerge, tra l’altro, che l’uomo è accusato di aver finanziato gruppi criminali in Kazakistan e salta fuori anche la figura di un suo braccio destro, poi arrestato in Spagna e rimpatriato in tre giorni. Sempre quel giorno, inoltre, gli investigatori sono tornati nella villa a Casal Palocco con un georadar per verificare se il ricercato si potesse nascondere in un bunker sotterraneo.
La sera del 31 maggio, Shalabayeva lascia il Cie per essere rimpatriata con l’aereo con a bordo i connazionali, in base a quanto disposto dal Testo Unico dell’Immigrazione che recita: «Lo straniero irregolare una volta identificato e fornito di documenti di viaggio, deve essere rimpatriato nel più breve tempo possibile attraverso il primo mezzo idoneo di trasporto». La polizia, ottenute tutte le autorizzazioni necessarie, accompagna la donna e la figlia di sei anni (dopo aver avuto anche il nulla osta dal giudice dei minori per il riaffido alla madre) a Ciampino. In quelle ore anche la procura di Roma aveva dato il nulla osta con un decreto per il rimpatrio, dopo aver esaminato la documentazione regolare che avevano consegnato gli uomini delle forze dell’ordine. Intorno alle 19 la donna sale sull’aereo con la bimba, dopo però che la polizia ha verificato che sul velivolo ci fossero anche hostess donne a garanzia di Shalabayeva e della figlia.
Trascorrono cinque giorni e arriva anche la conclusione del Viminale su tutta l’attività svolta in questa vicenda e il risultato è stato positivo, tutto regolare. A metà giugno, viene poi pubblicato un memoriale della donna sul Financial Time (del quale aveva quote societarie il marito della Shalabayeva) che attacca le forze dell’ordine italiane. E da qui lo scontro politico, che porta il ministro Angelino Alfano a chiedere e ottenere la fiducia a luglio. E sempre a luglio ecco partire un’indagine interna al ministero dell’Interno, condotta dal capo della Polizia, che ascolta alti dirigenti e prefetti. Dopo l’inchiesta interna, il ministro Anna Maria Cancellieri dispone un’ispezione al Tribunale di Roma. Il presidente risponde che il giudice di pace, se avesse avuto tutti i documenti disponibili in visione non avrebbe convalidato il trattenimento di Shalabayeva, poiché la donna avrebbe avuto passaporti regolari del Kazakistan e che quindi la polizia avrebbe commesso omissioni. La polizia, però, secondo quanto anche depositato in procura, non avrebbe mai visionato documenti all’infuori del passaporto del Centroafrica risultato falso. Nel frattempo, sempre a luglio, il latitante eccellente rincorso dalle polizia di mezo mondo, viene arrestato da un centinaio di uomini della Gendarmeria francese a in una villa con piscina a Nizza.
Dalle indagini della polizia, inoltre, emerge che la donna sarebbe stata clandestina da settembre 2012 (non avrebbe esibito documenti validi alla polizia a maggio). Sempre a metà giugno, poi, arriva la decisione della Prefettura di annullare il provvedimento di espulsione che aveva firmato in precedenza, sulla base della fotocopia del permesso di soggiorno lettone per lavoro che in mano alla polizia non è mai arrivato. Su questo non risulterebbero approfondimenti sulla genuinità e correttezza nel rilascio.
La prossima tappa della vicenda è quella del 9 gennaio, quando la Francia dovrà pronunciarsi sulla richiesta di estradizione presentata da Ucraina e Russia nei confronti di Mukthar Ablyazov. L’uomo, ex ministro kazako, diventato uno dei principali oppositori di Nazarbaev, è condannato a sei anni di carcere per abuso di potere. Tre anni dopo, la banca Bta, di sua proprietà, viene dichiarata insolvente e lui accusato di truffa e appropriazione indebita. Trascorsi quattro anni, si trasferisce a Londra. Lo scorso anno, viene nuovamente condannato a 22 mesi di reclusione dalla Gran Bretagna per delle proprietà immobiliari che avrebbe nascosto. A quel punto l’uomo fa perdere le sue tracce, fino al suo arresto in Francia a luglio: è detenuto in isolamento ad Aix en Provence.
Un altro aspetto ancora da chiarire (e sarà la procura a farlo) è l’esame dei documenti che gli avvocati di Shalabayeva hanno depositato il 31 maggio in procura: nessuna richiesta di asilo politico bensì due certificati di altrettante presunte rappresentanze diplomatiche centroafricane che attestavano la genuinità del passaporto diplomatico (con altre generalità ndr.) e l’incarico della donna quale consulente economico del presidente Centroafricano. Quest’ultimo, però, era stato sollevato dall’incarico quattro mesi prima durante un colpo di Stato.
Finora, comunque, un dato certo è che la polizia italiana continua a ripetere la totale correttezza del suo operato e molti dirigenti e prefetti ancora non accettano insinuazioni su intrighi internazionali o versioni controverse nella ricostruzionre della storia della moglie di un ricercato. Certo è, anche, che la donna questa volta è rientrata in Italia regolarmente con un visto, un passaporto a lei intestato cosa che invece, dalle carte della polizia, non era accaduto a settembre 2012. Una vicenda, dunque, che non ha alcun aspetto oscuro, tanto che questa ricostruzione è stata dettagliatamente documentata dal capo della Polizia nella sua relazione letta dal ministro dell’Interno in Parlamento il 16 luglio. Tutto il resto è fuffa. E solo la scarsa capacità politica di farla emergere fa del nostro Paese quello che è.
Augusto Parboni