Maximilian Cellino, Il Sole 24 Ore 5/1/2014, 5 gennaio 2014
SCATTA BASILEA 3, RISCHIO STRETTA SUI CREDITI
Mille e duecento giorni dopo l’approvazione, la rivoluzione chiamata Basilea 3 entra ufficialmente in vigore. La data del primo gennaio 2014 sarebbe quindi di quelle da cerchiare di rosso sul calendario, se non fosse che il mercato ha di fatto costretto le banche ad anticipare i tempi e ad adeguarsi in questi ultimi 3 anni ai nuovi standard indicati a suo tempo per rafforzare il capitale e per evitare quindi nuovi casi Lehman. Gran parte dell’impatto si è dunque già visto e resta sotto gli occhi di tutti: per raggiungere i minimi regolamentari gli istituti di credito sono i parte ricorsi al mercato attraverso operazioni di ricapitalizzazione, ma hanno anche rivisto la struttura dei propri attivi (risk weighted asset, Rwa) cedendo i più rischiosi e riducendo in molti casi gli impieghi.
Effetti collaterali
Agli obiettivi indicati ci si è dunque arrivati anche attraverso una significativa contrazione dei finanziamenti alla clientela. Soltanto in Italia i flussi di prestiti concessi dalle banche si sono ridotti di circa 75 miliardi di euro negli ultimi due anni: 29 miliardi in meno per le imprese e 8,5 per le famiglie nel 2012, e una cifra nel complesso simile per il 2013 secondo le stime di Prometeia. Addebitare tutto a Basilea 3 sarebbe ovviamente una forzatura, ma è inevitabile che le nuove norme di rafforzamento del capitale abbiano, come effetto collaterale, finito per aggravare quel «credit crunch» certificato ancora una volta due giorni fa dai dati della Banca centrale europea (Bce).
Ma se è vero che gli sforzi più importanti sono stati già compiuti, in Italia come nel resto d’Europa, qualcosa resta ancora da fare e non si possono escludere nuove ripercussioni, anche sul credito. L’estate scorsa la stessa Banca d’Italia rilevava come il deficit patrimoniale per i principali gruppi del credito nazionali si fosse sensibilmente ridotto rispetto al livello di partenza di fine 2009: da «finanziare» resterebbero circa 9 degli originari 36 miliardi di euro.
Da allora però la situazione è ulteriormente migliorata: prendendo in esame le principali 15 banche italiane sottoposte a vigilanza Bce, per esempio, Prometeia stima un fabbisogno di capitale di appena 400 milioni rispetto al minimo regolamentare previsto al termine del 2014, poca roba quindi. In questi ultimi tre anni però il mercato ci ha abituati a ragionare anticipando i tempi, secondo la regola del «tutto e subito», e non certo della gradualità prevista dagli stessi accordi di Basilea 3. Se dunque si dovessero raggiungere già entro l’anno i coefficienti previsti a pieno regime (common equity pari al 7% degli attivi ponderati per il rischio nel 2019) le necessità aumenterebbero fino a 5,2 miliardi, gran parte dei quali a carico di Mps.
Una via ancora accidentata
Si tratta pur sempre di un ostacolo tutt’altro che insormontabile, ma al da non sottovalutare. Anche perché se finora le maggiori operazioni di adeguamento sono state sostenute dai primi 5 gruppi (per loro il core tier 1 si è portato in media dal 5,9% del 2008 all’11,2% dello scorso giugno), a sopportare il carico da qui in avanti saranno soprattutto le banche di dimensione medio-piccola, che non hanno certo la stessa facilità d’accesso ai mercati.
Il problema, inoltre, non è soltanto di pura quantità: non sono quei 5,2 miliardi di euro a spaventare, ma è il modo in cui si dovrà arrivare all’obiettivo a creare qualche dubbio in più. Il miglioramento dei coefficienti patrimoniali è stato infatti ottenuto in misura significativa anche attraverso la revisione delle metriche di misurazione dei rischi. Adottando nuovi sistemi di valutazione interni, molte fra le principali banche (Ubi e Banco Popolare in testa) hanno potuto misurare in modo più accurato i rischi connessi agli impieghi e ridurre così le necessità di capitale da accantonare in relazione a ciascun finanziamento.
Nei casi in cui è stata è stata già giocata, questa carta non potrà ovviamente essere utilizzata di nuovo e si dovranno quindi trovare strade alternative per adeguare il patrimonio. Anche perché gli spazi di riduzione dei rischi, soprattutto nel portafoglio crediti, sono abbastanza esigui: «Azioni come queste - conferma Giuseppe Lusignani, vicepresidente di Prometeia - sono difficili da conseguire, soprattutto nel breve-medio periodo, poiché richiedono cambiamenti non marginali nel sistema finanziario, si dovrebbero per esempio riattivare i circuiti di cartolarizzazione dei crediti di famiglie e imprese».
Un percorso, quello di trasferire i rischi dalle banche nei portafogli degli investitori istituzionali, che richiede un periodo di transizione piuttosto lungo. «I necessari miglioramenti dei coefficienti di capitale non potranno quindi che arrivare attraverso un aumento delle risorse patrimoniali stesse», sottolinea ancora Lusignani, ma qui si apre una nuova questione: riusciranno le banche a recuperare livelli di redditività accettabili e soprattutto tali da garantire il ritorno sul mercato a condizioni che non siano eccessivamente penalizzanti per gli azionisti? Mps è sotto questo aspetto sicuramente l’esempio più calzante, ma non è certo l’unico: altre banche potrebbero incontrare problemi nell’effettuare le necessarie ricapitalizzazioni, soprattutto quelle di dimensioni più ridotte.
Incognita stress test
L’adeguamento ai coefficienti richiesti, in tal caso, non potrebbe che passare attraverso un ulteriore razionamento del credito, che sarebbe ancora più doloroso in un momento in cui invece la ripresa economica si affaccia all’orizzonte. L’impatto potenziale rischia di essere ancora più accentuato se si considerano le altre due grandi incognite che gravano su questo 2014: l’asset quality review e i nuovi stress test condotti dalla Bce. I principi secondo i quali saranno calibrati questi ultimi restano al momento un’incognita, ma se solo si elevasse l’asticella da raggiungere per il common equity di un punto all’8% per tutte le 15 banche del panel osservato (come impone l’Eurotower) il fabbisogno delle banche italiane per il 2014 balzerebbe d’un colpo a 1,6 miliardi (e a 7,5 miliardi in caso di applicazione immediata dei requisiti per il 2019).
Tradotto in soldoni, nello scenario peggiore in cui per le banche fosse impossibile attingere al mercato per le necessarie ricapitalizzazioni, tutto questo significherebbe un’ulteriore contrazione del credito per circa 20 miliardi. Potrà sembrare un paradosso, ma sono gli stessi 20 miliardi che Prometeia stima come potenziale crescita dei nuovi finanziamenti a imprese e famiglie in questo 2014 dopo due anni di profonda crisi. L’uscita dal «credit crunch» e dalla recessione dovrà insomma passare ancora una volta attraverso le forche caudine di Basilea 3 e stress test.
m.cellino@ilsole24ore.com