Marco Ferrando, Il Sole 24 Ore 5/1/2014, 5 gennaio 2014
BANCHE, VIA ALLE RICAPITALIZZAZIONI
Alcuni aumenti di capitale sono già venuti a galla, altri matureranno in estate, quando il doppio esame della Banca centrale europea comincerà a dare i primi responsi; in ogni caso il 2014 per molte banche sarà anno di irrobustimenti patrimoniali. Alcuni istituti cercheranno di cavarsela da soli, con le cessioni o ricorrendo ai convertibili là dove ci sono, gli altri dovranno invece ricorrere ai soci, vecchi e nuovi, in cerca di capitale: almeno per ora il clima sui mercati sembra favorevole, ma per calamitare risorse bisogna essere in grado di garantire ritorni adeguati, ed è così che più degli aumenti a preoccupare diversi banchieri è il ritorno a una redditività stabile, strada lunga e tortuosa per definizione.
Le operazioni in cantiere
Al momento, in Italia, le ricapitalizzazioni già in agenda per il 2014 sono cinque. Quasi tutte in stand by, per la verità: il Monte dei Paschi e la Popolare di Milano loro malgrado hanno rinviato l’appuntamento con il mercato, e i due aumenti di capitale, da 3,5 miliardi in totale, non arriveranno prima di qualche mese. Carige, invece, aspetta indicazioni da Banca d’Italia, così come Banca Marche: la prima è al lavoro sull’ultima – si spera – pulizia di bilancio che dovrebbe sancire l’ammontare definitivo del gap da colmare, l’altra è commissariata e finché non sarà finito il periodo di tutela nulla si potrà muovere. Più in fretta dovrebbe giungere alla meta Veneto Banca, sicura di avere in casa gli strumenti per puntellare i conti di quei 250-300 milioni necessari a oltrepassare la soglia dell’8% di Core Tier 1; entro i prossimi mesi, infatti, punta a cedere Bim e a convertire un soft mandatory da 350 milioni.
Gli altri dossier
Le manovre ufficialmente in corso finiscono qui. Ma il quadro, come dimostra ad esempio l’aumento da 100 milioni concluso a tempo di record due settimane fa dalla Popolare di Vicenza, che in estate ne aveva portato a casa un altro da 500 milioni, resta fluido. Soprattutto tra gli istituti di medie dimensioni, gli ultimi a essere compresi nella lista dei 15 gruppi che passeranno sotto la vigilanza Bce o i primi a restarne fuori. Boston Consulting ha calcolato che al momento, in Italia, il gap di capitale (Tier 1) è di 2,5 miliardi rispetto ai requisiti di Basilea 3 (che entreranno in vigore nei prossimi anni), al netto degli aumenti già pianificati e non considerando le Bcc. «Questa shortfall è in larga parte concentrata in banche a vocazione locale, spesso medio-piccole – spiega Matteo Coppola, partner e managing director di Boston Consulting group –. In particolare, tra le banche con asset sotto 25 miliardi, l’incidenza di questa shortfall è mediamente pari al 10 per cento». Da considerare, poi, che «con l’asset quality review e con gli stress test, è probabile che emerga la necessità di ulteriori ricapitalizzazioni, anche se al momento è difficile prevederne l’ammontare e gli istituti coinvolti».
L’incognita della Bce
Occhi puntati, dunque, su Francoforte. Su una Bce «che con l’Eba posizionerà l’asticella degli stress test e che al primo incidente sa di giocarsi la reputazione», come fa notare Andrea Resti, docente alla Bocconi e vice presidente dello stakeholder group dell’Eba. «Guardando in particolare alle grandi banche italiane, i requisiti di Basilea 3 di fatto sono già rispettati, dunque non è il quadro regolatorio a far paura. Piuttosto, è il modo in cui verrà svolta l’attività di supervisione: se ad esempio si chiederà alle banche di rispettare l’8% di Core Tier 1 anche in presenza di stress test basati su scenari fortemente avversi, il gap di capitale potrebbe essere elevato».
Così come elevate sarebbero le difficoltà a reperirlo, visto che – come noto – a muovere gli investitori sono i profitti, punto debole del settore in Europa ma soprattutto in Italia, dove ai paletti di Basilea 3 si è aggiunta una crisi dell’economia reale decisamente più pesante che altrove. Nel 2013 il roe di settore è stato vicino al 2%, nel 2014 potrebbe essere migliore ma ben lontano dalla soglia di appetibilità, visto il flusso delle rettifiche sui crediti e «un costo del rischio che per molti resterà sui 100 punti base almeno per altri 18 mesi», come prevede Resti. La via d’uscita? Per Coppola è una sola ed è «il ritorno ai fondamentali», con le banche che dovrebbero «impostare la propria attività a partire dallo stato patrimoniale, misurando e gestendo in modo granulare il consumo di capitale, il funding di medio termine e la liquidità di breve sia a livello di prodotto che di relazione cliente. I nuovi requisiti regolamentari e la crisi spingono in questa direzione». Ma è una svolta culturale epocale, destinata a cambiare il volto e l’assetto delle banche italiane ancora a lungo.
@marcoferrando77