Alberto Arbasino, Corriere della Sera 5/1/2014, 5 gennaio 2014
TRASGRESSIVI E CONFORMISTI
Cacce, piogge, tundre, steppe, tende, babe, guglie, faglie, danze, cupole, iene e lupi nella notte, idoli selvaggi, spiriti mistici o mitici, conflitti di serpenti, icone, rotoli, parasoli, spettri silvani più o meno efficienti... Ventagli, tempeste, parasoli, sortilegi, esorcismi, sacrifizi, malauguri, nuovi barbari, altri spettri, tamburi sciamanici... Maschere rituali, teschi, taumaturghi, nostalgie, cineserie, eclissi, opere senza titolo... Fra innumerevoli Tatiane, Svetlane, Varvare, Evgenjie, Natalije, Sergej, Nikolaj, Michail, Aleksej, Wassily... Peggio che nei teatri d’Opera.
Ma in questa eccellente mostra fiorentina, L’avanguardia russa, la Siberia e l’Oriente, in Palazzo Strozzi, tutti i quadri appaiono regolarmente appesi alle pareti monocrome, lasciando immaginare le tappezzerie che talvolta si possono intravvedere come fondali, in ambienti per lo più sovraccarichi. Anche il mitico o magico Quadrato nero (o cerchio) di Malevic, concepito, ci si spiegò, per il «posto dell’icona», cioè all’incrocio di due pareti con il soffitto, a destra. Così come appare nelle vecchie foto. E come si vide in un salone di The Great Utopia, rettangolare a fianco delle celebri passeggiate aeree, presso il Guggenheim Museum di New York. E sono passati molti anni, sopra quegli ammirevoli astrattismi e costruttivismi e suprematismi, nonché su quelle famose porcellane sovietiche, già per il popolo, e in seguito per le élites più facoltose.
Una folla di memorie si accalca così fra i ricordi, in disordine. Ah, la prima volta che si andò a Mosca, oltre mezzo secolo fa. L’occasione fu data per gli Amici della Scala, in occasione di una tournée milanese memorabile al Bolshoi. E se ne approfittò per assistere ad alcuni spettacoli veramente storici, di Stanislavskij e Vachtàngov, replicati più o meno accuratamente dagli inizi del Novecento. Un mirabile Oiseau bleu, dove la Funzione si unisce allo Stile, e questo è squisitamente Art Nouveau, a partire dall’illuminazione, dalle fosforescenze. Trucco, recitazione, movimenti: l’Acqua, il Latte, il Cane, il Gatto, lo Zucchero, con una verve di invenzioni visive sconvolgenti. Fate e Streghe per bambini sognanti meglio che in Ravel, L’enfant et les sortilèges... Mentre la Turandot di Carlo Gozzi incominciava con un magnifico défilé dell’intero cast in passerella con frac stilizzati e colorini da «Noi del Ventinque siam le donne, e ci pettiniamo à la garçonne, à la bébé». Una marcetta spiritosissima, tipo Prokofiev. Ma poi, tutto un Billi & Riva con facezie rustiche fra i due scudieri dell’avventuroso principe.
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Si usavano ancora le bustine di cartavelina, contro l’uscita d’inchiostro delle stilografiche, nei voli tra Mosca e Leningrado. Mentre Wally Toscanini preferì un wagon-lit che poi non era «zarista» bensì moderno. E lì, turbata alla vista del «proustiano» Puccio Bodrero che si spogliava, perse un caro anello del suo papà. Così come a Zagorsk, confusa da una Settima beethoveniana incisa dal suo papà a 78 giri, bevve per sbaglio anche il caffè del Patriarca, mentre noi stavamo lì con una melina verde. Poi compì gli anni, e ricevè da ognuno di noi l’unico dolce allora disponibile nel sublime Gastronom sulla Prospettiva Nevskij. Si stava all’albergo Astoria, con un fragoroso Inno dei Lavoratori dai microfoni o megafoni ogni mattina alle sette.
Adesso, eccoci immersi e sommersi dai monumentali cataloghi delle esposizioni a suo tempo visitate con deferenza. Altro che Siberie e Orienti. Catalogoni giganteschi, totalizzanti: ParisMoscou al Centre Pompidou nel 1979. Berlin-Moscau nel 1995. E nei diversi Guggenheim, incominciando dal berlinese, Le Amazzoni dell’Avanguardia, con Exter, Goncharova, Popova, Rozanova, Stepanova, Udaltsova. E paradigmi di creatività, genialità, corporeità, nella trasgressività femminile tra la fine-Ottocento e gli inizi del Nove.
Quanti conformismi, e quante trasgressioni, in mostra al Lingotto, per Arte Russa e Sovietica, a cura di Giovanni Carandente, e viva presenza di Argan, quando Sindaco di Torino e Ministro dei Beni Culturali erano Maria Magnani Noja e Vincenza Bono Parrino, e Ferdinando Salleo nostro ambasciatore in Urss. E intanto, sempre nel 1989, Avanguardia russa, al Palazzo Reale di Milano, con tazzine e piattini da collezioni private sovietiche, Luigi Corbani ed Enrico Crispolti, e sponsorizzazione Pirelli, cioè Leopoldo.
Tutto un dilagare, di lì. Genova, Brescia, Verona, Venezia, Prato, nonché Londra e Los Angeles, sempre con nuove prospettive sull’avanguardia ovviamente rivoluzionaria. E i consueti Malevic, Kandinskij, Goncharova, Chagall, «gli Indiscutibili»... Idoli, rituali, sciamani, bramini, esorcismi che apportano qualche pace interiore...
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In questa dotta e accurata mostra fiorentina, l’armamentario di teschi e corna in sintonia col Tutto Selvaggio saranno poi segnali di possesso territoriale su tundre e steppe primordiali e magari cosmiche, o invece cromolitografie e gouaches riferite alla guerra russo-giapponese del 1904?... E l’«Iniziazione al Sacerdozio» di Nicola Benois, con tanto di levitazione davanti a un Buddha che ne ha viste tante, sarà magari un’anticipazione o una conseguenza della Africaine di Meyerbeer e Scribe, appena vista alla Fenice veneziana ma imprecisissima circa i rituali nei vari misteriosi Orienti… Africani, bramini, Gandhara... Mah.
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L’interessante mostra dei cocci e coccetti appartenuti alle collezioni del cantante Evan Gorgan può diventare un movente di visita al magnifico e forse dimenticato Palazzo Altemps, con tante storie rionali soprattutto ai tempi dell’occupazione napoleonica. Quando, ad esempio, evase un artista da Castel Sant’Angelo (donde la Tosca), e si rifugiò nel Palazzo Taverna, dove un principe Gabrielli extraterritoriale per anni lo protesse, ma facendogli affrescare molte pareti a grottesche.
E lì, siccome i militari francesi andavano a pisciare (come tanti, oggi) nel Vicolo dei Soldati, una damigella Altemps scelse e sposò un soldato Hardouin. Ed ecco allora perché Gabriele d’Annunzio sposò una giovane discendente Maria Hardouin di Gallese, che poi andò ad abitare nel Vittoriale.
Un vecchio gentiluomo non si dava pace, però, in quanto sui soffitti apparivano stelle, assolutamente vietate negli emblemi della nobiltà romana. E si consolò quando gli architetti spiegarono i riferimenti al Vescovado di Costanza, da cui venne Markus Sittikus, poi Altemps. Visitammo tutto, dalla sontuosa chiesa di S. Aniceto al teatro chiuso. E adesso, davanti agli spettacolari marmi Ludovisi, naturalmente ritornano alla memoria certi fragorosi dubbi espressi da Federico Zeri sull’autenticità dei rilievi laterali di quel celeberrimo Trono.
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Di sala in sala, e di loggia in loggia, si ammirano così i satiri e le cariatidi e le menadi, e le erme, e i busti dei Cesari. Intorno al cortile mirabile, Isis e Serapis, Pan e Dafni, Giunone e Afrodite e Artemide e Atena, il celebrato Ares Ludovisi, un colossale Dacio (o Daco, o Dace?) in vari marmi chiari e scuri, il nero e massiccio Toro Brancaccio, sarcofaghi con battaglie e lotte, maschere dionisiache, un Galata che si erge trafiggendo una consorte... Un importante Antonino Pio, i magnifici resti della Collezione Mattei... E poi, gli affreschi residui: la «piattaia» ai tempi dei Riario, un probabile autoritratto del Pomarancio, come nel vicino Palazzo Firenze...
Davanti alle mirabili incisioni settecentesche della Villa Ludovisi, distrutta per speculazioni immobiliari sbagliate dopo l’Unità d’Italia, si tramandano le indignazioni del Mommsen davanti ai principi romani che ostendevano le proprie vergogne. Si sono forse perdute le ire degli Altemps per una pessima permuta con certe saline Teodorani Fabbri...