Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  gennaio 05 Domenica calendario

DIFENDERE LA CASSA ANDANDO IN CAUSA


Caudio Lotito non è un refuso, e nemmeno forche claudine. E’ un gioco di parole che rimanda a una delle tematiche preferite dal presidente della Lazio: la giusta causa. La sospensione dell’attività non gli ha suggerito la giusta pausa. Un tesserato sa o dovrebbe sapere che potrebbe passare sotto le forche claudine. L’ultimo è Petkovic, licenziato ieri. Se la vedranno i rispettivi avvocati, avanti il prossimo. Il prossimo è Edy Reja, che se n’era andato nel maggio 2012. Nella circostanza, Lotito gli aveva scritto una lettera molto affettuosa (“le porte di Formello per lei saranno sempre aperte”) ed è probabile che un goriziano tutto d’un pezzo come Reja ne sia rimasto colpito. Specie dopo la precedente esperienza, a Napoli, in cui dopo un 2-2 proprio con la Lazio il presidente de Laurentiis, nello spogliatoio, gli si era rivolto con eleganza: “Non ti metto le mani addosso solo perché sei vecchio, ma ti licenzio”.

A me par di capire che l’avvocato di Petkovic abbia più carte in mano. O forse, a memoria, mi pare che di cause Lotito ne vinca in media una su quattro. Vedi Ledesma (vinta), Behrami (persa), Pandev (persa), Galderisi alla Salernitana (anche a Salerno Lotito gioca in causa: persa) mentre su Zarate la sentenza dice che non ci fu mobbing da parte del club ma la Fifa autorizza Zarate, che considerava nullo il contratto, a giocare col Velez, anziché squalificarlo. Un mezzo pasticcio, anche se liberarsi di Zarate può essere considerata una vittoria di Lotito. Quando Lotito rimette piede nella sua abitazione, non rincasa. Rincausa. Da piccolo il suo film preferito era “Torna a causa, Lassie”. Da adolescente, la canzone preferita “Che causa c’è”, cantata da Gino Paoli con spiccato accento barese. Gli studi classici lo hanno poi portato a un disinvolto uso del latino. E’ passato da “tertium non datur” a “sestertium non datur”. Se vede la possibilità di risparmiare dieci euro, non diecimila, va in brodo di giuggiole. Nel calcio sono in molti a batter cassa. Lotito batte causa e difende la cassa. Pur sapendo che, a volte, in causa venenum.

Un ritorno, quello di Reja, che toglie un primato a Ventura: essere il tecnico più anziano in serie A. Intervistato ieri da Repubblica diceva a Emanuele Gamba: “La mia generazione è stata spazzata via, ma io mi sono sempre sentito fuori tempo: la difesa a tre la facevo già a Lecce, e il 4-2-4 prima di qualcun altro. Oggi ho di nuovo cambiato. Dà una certa soddisfazione a me e ai giocatori vedere che contro di noi tutti cambiano modulo. Persino la Juve lo ha fatto, nel derby dell’anno scorso”. Ma è vero che prima di tutto vuole calciatori intelligenti? “Diciamo che li obbligo a pensare” è la scarna risposta. A me Ventura piace da quando ho notato la sua predilezione per le ali. Uso questa parola provocatoriamente ben sapendo che dovrei parlare di attaccanti esterni o di punte larghe. Ma Cerci è un’ala, come lo è Biabiany, come lo era Alvarez a Bari, come Ribery e Robben, come Fanna. Un’ala è una rarità, rappresenta una specie quasi estinta, in Italia. Se le avversarie del Torino cambiano modulo è perché un conto è difendere contro esterni che sono terzini riciclati, un conto contro ali vere. “A Torino mi hanno chiesto dignità, non vittorie”. La dignità messa tra i traguardi può complicare il lavoro di un allenatore di medio cabotaggio, ma di Ventura no (7,5).

Sembra più arduo il compito di Mauro Berruto. Non come ct del volley, lì sta facendo bene e ha lanciato con soddisfazione nuovi talenti, ma come componente di Destinazione sport, la variegata task force che, nei desideri di Enrico Letta, dovrebbe dare all’Italia una reale cultura sportiva. Da dove si parte? Sul Corsera di ieri Berruto dice: “Scuola, crescita economica, welfare e benessere sono temi interconnessi. Un buono sport garantirebbe grande risparmio al servizio sanitario nazionale e sarebbe un volano per l’economia. E’ fondamentale immaginare le nostre scuole con palestre migliori”. Certo, ma anche con aule migliori e migliorie agli stipendi degli insegnanti.

A questo punto toccherebbe alla politica, cioè anche a Letta. Che su Berruto, leggo sulla Gazzetta, ha le idee chiarissime: “E’ un genio”. Meno chiare le ha sui giornali. La Gazzetta gli chiede conto della perdita per strada (quelle delicatesse) di Josefa Idem. E lui: “Mi è dispiaciuto moltissimo perché stavamo lavorando bene. C’è stata una campagna stampa assurda, perché i media spesso costruiscono casi che poi si sgonfiano”. Non lo escludo, ma mi sarei aspettato qualcosa di meno banale. Se così fosse, Letta potrebbe spiegare perché, se la campagna stampa era assurda, non ha difeso un suo ministro? E, ancora, a meno che non ci prenda tutti per gonzi, che gliene pare delle campagne stampa su Alfano e Cancellieri, intoccabili e intoccati in nome di quella vacca sacra che è diventata la parola “stabilità”? In attesa di risposta, un sereno 4. Ma una risposta, sulla difficoltà del lavoro che attende Berruto & C, arriva da una ricerca della Società italiana di pediatria illustrata ieri su Repubblica da Corrado Zunino. Il 24,6 % dei ragazzi nella fascia che va dai 15 ai 24 anni è da catalogare nella fascia dei sedentari assoluti, quando la media europea è del 7%. I nostri passano 3-4 ore al giorno tra tv, video e smartphone e mostrano, secondo la Sip, “minore volontà al sacrificio, all’impegno e alle regole”. Vietato stupirsi.