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 2014  gennaio 05 Domenica calendario

DAI FANTASMI DEL ’44 RIEMERGE IL “TRENO DEGLI ITALIANI”


Un convoglio speciale si muove dalla stazione Tiburtina di Roma nel tardo pom eriggio di 70 anni fa, il 4 gennaio 1944. La destinazione ignota ai più prevede il passaggio da San Giovanni in Persiceto, l’attraversamento del confine al Brennero, una sosta di un paio di giorni a Dachau e l’approdo a Mauthausen all’alba del decimo giorno. Un treno come tanti che si muovono sui binari di mezza Europa durante il secondo conflitto mondiale, carico di centinaia di passeggeri stipati nei vagoni: mezzi di trasporto che spostano vite, storie, famiglie, lacerando comunità e falcidiando intere generazioni. Una ferita che non si rimargina e che colpisce parti del tessuto della capitale provata dai primi mesi di occupazione a seguito dell’armistizio dell’8 settembre 1943 e dalla guerra civile che divide la popolazione. Particolari tuttavia le ragioni e il contesto che portano alla composizione del gruppo dei viaggiatori: un progetto che punta ad allontanare in modo forzato presenze indesiderate o potenziali oppositori del regime fascista e dell’occupante nazista. Una sorta di biglietto da visita di chi si batte indefesso a fianco della Germania nazista anche dopo le nuove alleanze maturate nell’estate cruciale del 1943.
Se ne sa poco, anzi per molto tempo non affiorano notizie o documenti in grado di supportare gli interrogativi di nuove indagini conoscitive. Poi, a fatica, qualche messaggio raccolto nelle frenetiche ore di preparazione del viaggio, un passaparola e alcuni biglietti passati di mano in mano, lettere consegnate a famiglie rimaste incredule, in attesa di un segno plausibile dopo giorni di angoscia e lunghe peripezie. Consegnare un messaggio a chi è in cerca di notizie, di speranze sui propri cari rappresenta una buona occasione di un baratto: tessere annonarie, regalie e qualche spiccio in cambio di preziose parole e di una firma su piccoli fogli di carta. La sorte di chi scrive è quella di tanti, quasi 300 prelevati in pochi giorni e avviati verso un incerto destino. Un insieme variegato che è uno spaccato per seguire le dinamiche dell’occupante nazista e le connivenze di chi ne asseconda strategie e obiettivi. Le premesse sono semplici e ben definite; della storia si sa poco fino a quando alcune ricerche pionieristiche cominciano a squarciare un velo fatto di omissioni e oblio (promossi dall’Associazione Nazionale Ex Deportati, i lavori di Italo Tibaldi e da ultimo Eugenio Iafrate http://www.deportati4gennaio1944.it/).
A fine 1943 Roma è segnata dall’occupazione nazista, sul suo territorio sono in vigore le leggi di guerra del Terzo Reich. Come segno di buona volontà nei confronti del governo di Berlino agenti di pubblica sicurezza italiana iniziano a rastrellare e rinchiudere nel carcere di Regina Coeli alcune centinaia di prigionieri. La questura si muove su indicazione del ministero dell’Interno della Repubblica Sociale Italiana e mira a gestire l’intera operazione: deve essere un segno inequivocabile di efficienza, un modello e un colpo alle forme di resistenza che si erano espresse nella capitale. Il bilancio è inquietante: la gestione della polizia fa sì che italiani in divisa accompagnino propri connazionali fino al Konzentrazionlager di Mauthausen. Una collaborazione proficua nel quadro del sistema della deportazione che i nazisti sperimentano in mezza Europa.
I trasferimenti erano iniziati la mattina di settanta anni fa, centro di raccolta la stazione Tiburtina in un tragitto che diventa l’ultima possibilità di fuga. Alla fine arrivano a destinazione in 257, solo 59 riusciranno a vedere l’alba della liberazione e l’arrivo degli americani nel maggio 1945. Il treno è uno strano universo: ragazzi, giovani sbandati, soldati fermati nel fronte Sud durante la battaglia di Cassino, renitenti alla leva, cittadini di religione ebraica e circa 70 antifascisti di varia natura e provenienza (anarchici, comunisti, socialisti, liberali). Per tutti la strada è irreversibile: campi di concentramento, inserimento nel sistema di lavoro coatto, controllo sui destini individuali e sulla sorte dei nuclei familiari.
Con la fine del viaggio il «Treno degli italiani» scompare dalla trasmissione della memoria collettiva nel lungo dopoguerra, anche dalle vicende più tormentate dell’occupazione nazista di Roma. Poi si accende una luce e quel lungo tragitto sui binari viene riproposto come pagina di un passato che ci interroga e ci interessa; la sua ombra sembra spingersi dal 1945 fino a un tempo a noi più vicino. Sono le lettere, le immagini, le biografie dei prigionieri, le storie nei documenti d’immatricolazione del carcere, nelle carte dell’Ovra o nell’archivio della Croce Rossa a Bad Arolsen che aiutano a dare un volto a chi non l’aveva, un’identità a chi l’aveva perduta, un indirizzo a chi era stato sradicato e travolto dall’odio della guerra. Tra i sopravvissuti a Mauthausen, due (Mario Limentani e Antonio Fragapane) sono ancora in vita; degli altri solo le tracce come piccole schegge di una memoria che merita di non andare dispersa.