Tonia Mastrobuoni, La Stampa 5/1/2014, 5 gennaio 2014
SENZA TOCCARE IL FISCO LE RIFORME DEL LAVORO RISCHIANO IL FLOP
[Pietro Ichino]
Ichino, a giorni sarà presentato il Jobs act di Renzi; le indiscrezioni parlano di una proposta che dovrebbe ricalcare il contratto unico, dunque con tutele crescenti. Come dovrebbe essere congegnato, secondo lei?
«La proposta di Scelta Civica del contratto a protezione crescente in proporzione all’anzianità di servizio, prevede che dal terzo anno in avanti la scelta aziendale del licenziamento resta insindacabile, salvo il controllo giudiziale sulle discriminazioni e rappresaglie, ma l’impresa vede crescere gradualmente il costo di separazione, con un obbligo di trattamento integrativo di disoccupazione che rende progressivamente più robusto e di maggior durata il sostegno del reddito garantito al lavoratore e il servizio di assistenza intensiva erogato da un’agenzia di outplacement».
I critici dicono che è la ricetta sbagliata, che bisogna concentrarsi su misure per rilanciare la domanda, senza abbassare le tutele.
«Avrebbero ragione se intendessero dire che la vischiosità del sistema italiano non è generata soltanto dall’articolo 18: vi concorrono anche la cultura diffusa, la carenza dei servizi nel mercato del lavoro, l’orientamento prevalente della giurisprudenza in materia di licenziamento per motivi economici. Ma vischiosità prodotta da tutti questi fattori c’è, eccome, e fa molto danno, ai lavoratori e alle imprese. Soprattutto in questa fase di riposizionamento dell’economia italiana in uscita dalla crisi».
Però anche la Confindustria tende a dire che l’articolo 18 non è un problema.
«Certo: perché fin qui l’hanno risolto, d’accordo con i sindacati, mettendo i lavoratori in Cassa integrazione per anni. Se amano molto quel sistema per ridurre gli organici è proprio perché consente loro di evitare l’invio delle lettere di licenziamento, con i conseguenti rischi giudiziali. Non appena la Cassa integrazione sarà ricondotta alla sua funzione originaria, che non è quella di sostituire il trattamento di disoccupazione, allora anche la Confindustria tornerà a mettere a fuoco il problema».
Cioè?
«Il problema di un Paese nel quale tutto il sistema di protezione del lavoratore è ancora di fatto centrato sull’ingessatura del posto di lavoro. Nel quale, dunque, è troppo difficile il passaggio dei lavoratori da un’impresa che riduce l’attività o chiude a una che ha bisogno di manodopera qualificata».
Non pensa che senza un deciso intervento sul carico fiscale, anche il contratto unico rischierebbe di essere un flop?
«Sì, occorre agire contemporaneamente su tre grandi leve. La prima è la riduzione del cuneo fiscale e contributivo, per abbassare il costo del lavoro. La seconda è la riduzione dei disincentivi normativi all’assunzione a tempo indeterminato: occorre incoraggiare l’investimento dell’impresa sul lavoratore, in questo periodo di incertezza gravissima sul futuro anche a breve termine. La terza è il miglioramento dei servizi nel mercato del lavoro, attraverso la cooperazione con le agenzie private: qui lo strumento cardine è costituito dal contratto di ricollocazione. In una strategia di più lunga durata, poi, ha un’importanza cruciale anche la semplificazione normativa: quel Codice semplificato del lavoro di cui oggi tutti parlano, ma di cui soltanto Scelta Civica ha presentato un progetto preciso in 70 articoli, nero su bianco. Anche sui primi tre punti, del resto, Scelta Civica ha presentato dall’estate scorsa le proprie precise proposte operative».