Francesco Perfetti, Il Tempo 4/1/2014, 4 gennaio 2014
CENT’ANNI FA IL SUICIDIO DELL’EUROPA
Un secolo fa, all’inizio del 1914, pochissimi, forse, fra i cittadini nei paesi europei erano consapevoli che, di lì a qualche mese, sarebbe scoppiata una guerra devastante quale non si era mai vista prima. L’anno nuovo sembrò aprirsi all’insegna della cultura. E del suo valore unificante. A Bologna, per esempio, il 1914 fu accolto con un avvenimento di respiro internazionale: la prima rappresentazione mondiale fuori da Bayreuth del Parsifal di Richard Wagner del quale erano appena scaduti i diritti d’autore. A Merano, tra gli antichi portici e la passeggiata del Lungopassirio, venne inaugurato il nuovo Kursaal progettato da un esponente di spicco della Secessione viennese, l’architetto Friedrich Ohmann, per ampliare il neoclassico Kurhaus che era diventato il punto d’incontro mondano dell’alta borghesia e della nobiltà europee.
Però, sotto le ceneri, mentre si spengevano le ultime sfolgoranti scintille di una fastosa e spensierata Belle Époque, il fuoco dell’imminente conflitto stava covando. Che la situazione politica internazionale, infatti, non fosse tranquilla è un dato di fatto. L’Europa attraversava una fase, com’è stata definita, di "pace armata". L’espressione, costruita con due termini all’apparenza contraddittori, coglie nel segno. Due sistemi contrapposti di alleanze - la Triplice Alleanza fra Austria, Germania e Italia, da una parte, e l’Intesa, dall’altra parte - garantivano un equilibrio fra le grandi potenze del cosiddetto "concerto europeo". Ma questo equilibrio aveva il suo contrappeso nella corsa agli armamenti. Era, appunto, un equilibrio fondato sulla "pace armata". Contrasti storici, antichi e recenti, si agitavano come fantasmi nell’ombra: il contrasto franco-tedesco retaggio della guerra franco-prussiana del 1870, il contrasto italo-austriaco per le terre irredente, il nuovo contrasto anglo-tedesco per il dominio dei mari e via dicendo. E poi, ancora, i problemi interni dei grandi imperi multinazionali, l’impero austriaco e l’impero russo, tormentati dalle spinte centrifughe e autonomiste delle nazionalità. Sullo sfondo, infine, una vera e propria "cultura della guerra" frutto dell’emergere e diffondersi di filosofie e concezioni di vita fondate sull’attivismo, sul vitalismo, sull’irrazionalismo.
Questo lo scenario dell’inizio del 1914. Quando il 28 giugno l’arciduca Francesco Ferdinando e la moglie Sofia furono assassinati a Sarajevo da Gavrilo Princip tutto crollò. In sé e per sé, quell’atto terroristico non comportava automaticamente la guerra: altri sovrani, capi di Stato e di governo, in anni immediatamente precedenti, erano caduti vittima di anarchici o di attentatori ma nessuna guerra era scoppiata. Questa volta le cose andarono diversamente. Lo spettro del conflitto cominciò a materializzarsi subito. Nei circoli governativi e nelle sfere degli alti comandi dei principali Stati europei si cominciò a pensare che un conflitto limitato avrebbe portato benefici politici. L’impero austriaco, per esempio, vide in questa ipotesi l’occasione per far passare in secondo piano i problemi interni e, magari, estirpare, una volta per tutte, quella spina nel fianco rappresentata dalla Serbia che, fungendo da polo d’attrazione del mondo slavo, minacciava la compattezza della grande costruzione sovranazionale.
L’assassinio di Sarajevo fu, dunque, solo una causa occasionale. Alla fin fine, la guerra scoppiò perché, in base a un calcolo errato, si ritenne che sarebbe stata una guerra di breve durata come quelle che si erano combattute nel secolo precedente. Invece, a causa della "pace armata", le cose andarono diversamente. Nel secolo precedente non era mai capitato che tutte le potenze del "concerto europeo" si ritrovassero contemporaneamente impegnate in un conflitto. Ora, la "pace armata", il meccanismo cioè delle alleanze contrapposte, fece sì che, in un breve volger di tempo, esse (e i loro territori coloniali) si ritrovassero con le armi in mano.
Rispetto ai conflitti tradizioni tradizionali che avevano accompagnato lo svolgersi della storia moderna, la guerra scoppiata nel 1914 acquistò subito caratteristiche nuove. Agli occhi dei contemporanei essa apparve, ben presto, come la "Grande Guerra". All’estensione nello spazio, risultato degli obblighi contratti dai singoli Stati con il meccanismo delle alleanze contrapposte, fece riscontro la durata nel tempo. Altro che guerra breve, come era nelle intenzioni! Nessuna delle due coalizioni riusciva a sopraffare l’altra. La guerra di movimento diventò guerra di trincea: dal punto di vista militare fu, quasi, un ritorno al passato, alle guerre di assedio della storia moderna, con la differenza che gli eserciti si trovarono immobilizzati non più attorno a un castello o a una città da espugnare, ma a linee difensive lunghe migliaia di chilometri. La durata temporale e l’estensione territoriale del conflitto implicarono il coinvolgimento della totalità delle risorse umane e materiali dei paesi belligeranti, determinarono uno sviluppo poderoso della ricerca scientifica e tecnologica per inventare e costruire nuove armi in grado di alterare l’equilibrio delle forze e sbloccare la situazione di stallo.
Le conseguenze della guerra furono enormi in campo economico perché si dovette creare, dappertutto, una "economia di guerra" finalizzata alla produzione bellica, ma anche in campo sociale perché la necessità di inviare nuove classi di giovani al fronte costrinse a cercare, sempre più spesso, forza lavorativa nell’universo femminile.
La "Grande Guerra", la guerra iniziata con troppa leggerezza nel 1914, cambiò radicalmente il volto dell’Europa. E del mondo stesso. Non lo cambiò soltanto nei confini, ma anche nelle mentalità. Fu, come è stato scritto, il "suicidio dell’Europa": un suicidio che le note dei concerti del capodanno di un secolo fa non lasciavano prevedere.