Simona Verrazzo, Libero 4/1/2014, 4 gennaio 2014
LA CINA SCARICA KIM JONG-UN «LO ZIO SBRANATO DAI CANI»
Sbranato vivo da un branco di cani lasciati a digiuno per tre giorni e che per un’ora banchettano sul corpo della vittima. Non si può immaginare morte peggiore, ma a questa terribile esecuzione sarebbe stato sottoposto –in Corea del Nord – Jang Song-thaek, zio ed ex mentore del dittatore, giustiziato alla fine di dicembre assieme a cinque alti funzionari del regime caduti in disgrazia perché a lui vicini. Il giovane leader di Pyongyang, Kim Jong-un, non sembra aver avuto alcuna pietà per colui che lo aveva aiutato al momento del passaggio di potere dopo la morte nel dicembre 2011 del padre, il terribile «caro leader» Kim Jong-il, anche se il figlio è sulla buona strada in fatto di crudeltà. I dettagli sono raccapriccianti. Jang sarebbe stato buttato nudo in una gabbia assieme a cinque stretti collaboratori. All’interno vi erano 120 cani che non venivano nutriti da tre giorni, i quali hanno ucciso e divorato i condannati. L’orribile esecuzione, chiamata «quan jue» (uccisione con i cani) è durata circa un’ora. Il leader nordcoreano vi avrebbe assistito assieme a 300 alti funzionari, per far vedere che succede ai «traditori» del capo.
Ma da dove arrivano informazioni tanto dettagliate, visto che la Corea del Nord è tristemente nota per essere il paese più isolato-blindato del mondo? Né dal primo eterno nemico, la Corea del Sud, e neppure dall’altra potenza dell’estremo oriente alleata di ferro dell’odiato occidente, cioè il Giappone. A riferire la notizia è la Cina, storico e per il momento ancora ultimo alleato nominale di Pyongyang. A raccontare l’esecuzione è stato il quotidiano Wen Wei Po, considerato l’organo ufficiale del Partito comunista cinese nell’ex colonia britannica di Hong Kong, poi è arrivato l’editoriale apparso su The Global Times (abbinato a Il Quotidiano del Popolo, l’organo ufficiale del Partito comunista cinese) in cui si stigmatizzava l’esecuzione di Jang come sintomo dell’arretratezza del regime di Pyongyang.
Il segnale è chiaro: la Cina si discosta completamente dall’epurazione di Jang, considerato da molti il referente di Pechino in Corea del Nord e lo fa «condannando la condanna a morte», giro di parole per rendere bene l’idea del controsenso a cui si assiste: la Cina, che ha il più alto numero di esecuzioni capitali al mondo, fa la morale alla Corea del Nord. Ma a parte le prediche sull’arretratezza quello che salta agli occhi è l’indisposizione di Pechino verso il giovane Kim Jong-un che, condannando a morte Jang Song-thaek, ha fatto capire di volersi togliere dall’«abbraccio» con la Cina. Infatti soltanto nell’estate del 2012 lo zio era stato invitato nella capitale cinese, dove – accolto con tutti gli onori – aveva incontrato l’allora premier Wen Jiabao e l’allora presidente Hu Jintao. Ora Pechino si trova senza referente a Pyongyang, cosa per niente gradita e l’unica azione che resta da fare è denunciare quanto accade oltreconfine, che poi si tratti di verità o «macchina del fango all’orientale» è difficile dirlo; certo la notizia, in un Paese come la Corea del Nord, è quanto meno plausibile.
Pechino è interessatissima alla vicenda, infatti la prima fonte che aveva riferito della condanna a morte di Jang Song-thaek era stato nientemeno che il China.org.cn, organo del China Internet Information Center, portale ufficiale di informazioni cinese emanazione dell’ufficio informazioni del Consiglio di Stato di Pechino.
La tensione tra gli alleati, almeno ufficialmente ancora si presentano così, è alle stelle, mentre non è mai scesa al di là del confine, in Corea del Sud. È di ieri la notizia che la Commissione per il nucleare sudcoreana ha autorizzato il riavvio di tre reattori, che avevano sospeso le operazioni a seguito di uno scandalo riguardante i falsi certificati di qualità di alcune delle loro componenti meccaniche. Parti cambiate e impianti che ripartono: quasi una conferma della corsa a difendersi da parte di Seul dopo il messaggio di Capodanno del leader nordcoreano, che ha minacciato un «disastro nucleare» in caso di guerra. Lo stesso discorso in cui aveva annunciato di aver fatto fuori la «feccia della società», cioè lo zio e i suoi collaboratori.
E in un contesto tanto pesante il dittatore nordcoreano è preso anche da cose «leggere»: l’ultima impresa è il resort sciistico diMasik Pass, che i mezzi di propaganda definiscono «extralusso» e dove ogni camera ha salotto, parquet, caminetto. Effettivamente un vero lusso in un Paese dove si muore di fame e se ci si lamenta si finisce in un campo di lavoro.O in pasto ai cani.