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 2014  gennaio 04 Sabato calendario

«I CINESI COPIANO IDEE E DIVANI E SFRUTTANO I MIEI OPERAI IN NERO»


Forse è solo una leggenda metropolitana, ma in Ba­silicata si racconta che una volta Pasquale Natuzzi,l’in­ventore dei salotti Divani& Diva­ni, sia stato fermato da un con­nazionale durante un’impor­tante fiera internazionale del mobile: «Complimenti Pasqua­le, ho appena visitato il tuo stand qui a fianco, i tuoi divani sono veramente eccezionali». E Natuzzi, sorpreso: «Ma quale stand qui a fianco? Io lo stand ce l’ho dall’altra parte della fie­ra... ». In realtà lì a fianco c’era davvero uno stand con dei diva­ni bellissimi, ma il marchio non era Natuzzi, bensì Natuzzy: a clonare perfettamente il logo, insieme con molti dei modelli della linea Divani&Divani, era stata una ditta cinese.
Come i cinesi riescano a dupli­care con efficienza le «creature» griffate Divani&Divani per Pa­squale Natuzzi, 74 anni, non è un segreto. La verità- da anni- è sotto gli occhi di tutti, anche se si finge di non vederla. A comin­ciare dal presidente della Re­pubblica, Giorgio Napolitano, al quale Natuzzi ha scritto una lettera senza mai ottenere lo straccio di una risposta. La mis­siva denuncia la piaga del lavo­ro nero e la connivenza delle isti­tuzioni dinanzi a una concor­renza sleale: ditte senza scrupo­li che gra­zie a controlli inesisten­ti riescono a produrre ( con costi industriali di 25 centesimi al mi­nut­o contro una media di 92 cen­tesimi), e quindi a vendere al pubblico a prezzi stracciati. E co­sì, paradossalmente, a rischiare di restare fuori mercato, sono gli imprenditori onesti: super controllati dal fisco e rispettosi delle leggi. Su questi ultimi in­combe sempre l’incubo di Equi­talia, mentre ai signori tarocca­tori tutto è permesso. Come di­mostrano i recenti scandali dei capannoni-lager scoperti a Pra­to e le mille altre piazze figlie del terziario selvaggio. Ma ciò che sta accadendo nel- una volta flo­rido ma oggi in declino- distret­to lucano-pugliese del salotto ha davvero dell’incredibile. Al­cuni degli operai messi infatti in cassa integrazione da Natuzzi si sono trasformati in mano d’ope­ra sp­ecializzata per ditte concor­renti che «fotocopiano» i divani Natuzzi. Per capire esattamen­te come funziona il «giochetto», basta fare un giro nel triangolo del salotto compreso tra le zone industriali di Matera (Basilica­ta), Ginosa e Laterza (Puglia). Qui, per anni, Pasquale Natuzzi ha espresso il massimo del suo potenziale manageriale espor­tandolo in tutto il mondo, com­presi gli Stati Uniti. Il clou del successo ha coinciso con la quo­tazione del gruppo alla Borsa di New York, poi un lento declino. Nell’antico quartier generale del «suo» Mezzogiorno, Natuz­zi ha preso confidenza con la cassa integrazione. E la concor­renza ha iniziato a prendere confidenza coi cassaintegrati by Natuzzi. Come? Offrendo lo­ro stipendi in nero in cambio di una professionalità costruita per Divani&Divani, ma ora al servizio di marchi «nemici».
«I soldi della Cassa integrazio­ne non mi bastano a sfamare le la famiglie - ci racconta una ex «tuta bianca» che ha lavorato una vita per Natuzzi - per arro­tondare le entrate faccio il cotti­mista in una ditta che subappal­ta i divani a un gruppo di cinesi. Loro, i cinesi, lavorano giorno e notte. Dormono e mangiano nella stessa fabbrica. In pratica vivono da reclusi. Io no, faccio le mie 5 ore e torno a casa. Non è un lavoro pesante: devo control­lare che gli standard qualitativi vengono rispettati. Alla fine por­to a cas­a 800 euro al mese e que­sto mi permette di sopravvivere decentemente».
Pasquale Natuzzi, ovviamen­te, non ce l’ha con questa gente. Sa bene che quella che si consu­ma sotto i suoi occhi è spesso una guerra tra poveri sui quali non è giusto accanirsi. Ma Na­tuzzi sa altrettanto bene che alle spalle dell’esercito dei poveri si muovono enormi interessi sui quali sarebbe giusto indagare. «Questo modello di economia­sottolinea Natuzzi - non genera ricchezza, ma solo barbarie e dietro c’è chi si arricchisce e non ha il passaporto cinese».
Di qui una sfilza di denunce (con nomi e cognomi dei grandi committenti) che Natuzzi a pre­sentato a tutti i livelli, ottenendo però come unico risultato quel­lo di essere oggi inviso a tanti, a cominciare dai suoi stessi colle­ghi di categoria. Rapporti diffici­li anche con la classe politica («Il Parlamento fa orecchie da mercante») e rottura completa coi sindacati («Spesso compli­ce di un sistema illegale»). Un esempio per tutti: la Camusso, segretaria della Cgil, messa al corrente delle assunzioni in ne­ro degli operai in cassa integra­zione, ha avuto il coraggio di ri­spondere che questo «non è un problema del sindacato ma del­la magistratura ». Esasperato Na­tuzzi ha scritto a Napolitano. La sua lettere si concludeva con questa frase: «Oggi esistono due realtà sovrapposte che non pos­sono più convivere. Una che ri­spetta le leggi e l’altra che agisce in maniera sotterranea, senza dar conto a nessuno di ciò che fa e come lo fa. Queste due realtà non possono più convivere. Del­le due l’una: o vince la legalità e il sommerso soccombe, o vince il sommerso a scapito della lega­lità. Non ci daremo pace finché non avrà prevalso la prima». Dal Colle nessuna risposta.