Marco Palombi, Il Fatto Quotidiano 4/1/2014, 4 gennaio 2014
ISTAT, IL POTERE DEI NUMERI E IL RAPPORTO CON I GOVERNI
Statistica e politica vivono da decenni in un rapporto di amichevole inimicizia: i numeri, infatti, dovrebbero servire ai governi per prendere le loro decisioni e all’opinione pubblica per giudicarle. Eppure i numeri, presentati in modo impreciso, possono anche aiutare la politica a tenere sotto controllo l’opinione pubblica, a indirizzarla, a guidarne preoccupazioni e bisogni. La statistica, in sostanza, può essere un ottimo strumento di governo del consenso. Fin qui siamo all’ovvietà e una certa dialettica tra i produttori di numeri e il potere c’è sempre stata: il potere dei numeri, per semplificare, o i numeri del potere.
GLI STATISTICI, spesso, si dipingono come coloro che smascherano il potere, eppure anche gli esempi di “amicizia” sono parecchi. Un dato falso sull’indebitamento della Repubblica democratica tedesca – lo ha raccontato Vladimiro Giacché nel suo recente Anschluss – fu ad esempio fondamentale per accelerare il processo di unificazione delle due Germanie nel 1990. Parlando di Italia, e dunque di Istat, abbastanza clamoroso – due anni dopo – fu lo scontro tra l’allora ministro del Bilancio, Paolo Cirino Pomicino, e il governatore di Bankitalia Carlo Azeglio Ciampi sulla crescita del Pil italiano. Palazzo Koch aveva certificato un +1,1 per cento per il 1991 accettato pure dal governo. Così i conti sul deficit, però, non tornavano: “Otto giorni dopo la Relazione trimestrale di cassa – raccontò Stefano Micossi, all’epoca a capo del centro studi di Confindustria – l’Istat ha scoperto che la crescita era dell’1,4 per cento. Una differenza che lascia perplessi”.
Una vicenda simile, ma recente, è quella scoperta proprio dal Fatto quotidiano a inizio novembre. L’Istat – nell’ambito del nuovo processo europeo di costruzione dei bilanci nazionali – deve comunicare alla Commissione i dati sui conti pubblici italiani: solo che lo scorso ottobre l’Istituto inviò a Bruxelles dati secondo cui il nostro rapporto deficit-Pil era al 3 per cento, cioè dentro i parametri Ue, mentre secondo i documenti del governo in quel momento – cioè prima della cosiddetta “manovrina” approvata a dicembre – eravamo al 3,1 per cento, cioè passibili di una nuova procedura di infrazione. Sulla vicenda il Movimento 5 Stelle ha presentato un esposto alla Procura di Roma, mentre Niccolò Rinaldi – europarlamentare di Italia dei Valori – un’interrogazione a Strasburgo. Nel testo del dipietrista, peraltro, si parla anche di un altro strano caso riguardante l’Istat: i dati per la rilevazione 2011 su reddito e condizioni di vita degli italiani furono raccolti in ritardo e in modo incompleto. Non avrebbero, insomma, completa valenza scientifica (anche questo caso, va detto, fu portato alla luce da un’interrogazione in Senato del Movimento 5 Stelle).
A giugno, invece, c’è stato un caso tipico di comunicazione distorta di un dato corretto, una cosa che capita assai spesso nell’informazione economica. Si tratta dell’indice di fiducia delle imprese calcolato da Istat che sei mesi fa fece uno straordinario balzo dall’86,4 di maggio allo spettacoloso 95,7 di giugno: fu uno dei dati citati da Enrico Letta e Fabrizio Saccomanni per divinare la ripresa nella seconda metà del 2013.
I MEDIA, a partire dalla prestigiosa Bloomberg, diedero senz’altro il merito al governo di larghe intese. Poi a ottobre una noterella nel “Bollettino economico” della Banca d’Italia svelò il trucco: “Nel mese di giugno 2013 sono state introdotte innovazioni metodologiche riguardanti il campione e le tecniche di rilevazione che rendono i dati diffusi a partire da quella data non direttamente confrontabili con quelli dei mesi precedenti”. Tradotto: era cambiato il metodo di calcolo, nessun aumento.
ANCHE A LUGLIO, per dire, ci fu qualche polemica sui consumi: la spesa media mensile delle famiglie – disse Istat – è calata del 2,8 per cento dal 2011 al 2012. Peccato, però, che il dato fosse ottenuto a prezzi correnti, cioè senza contare l’inflazione: il calo reale, infatti, era esattamente il doppio di quello comunicato (-5,6 per cento) e così un crollo poté apparire un calo quasi fisiologico. Il potere dei numeri – come di ogni conoscenza tecnica – è quello non di essere neutri, ma di apparire tali.