Andrea Gennai, Plus 24 - Il Sole 24 Ore 4/1/2014, 4 gennaio 2014
UN «TESORO» DA 500 MILIARDI
Se la crisi che da sei anni spazza l’Italia non ha ancora prodotto pesanti ricadute sociali è anche grazie alla variabile patrimoniale. Le famiglie della Penisola, come ha fotografato Bankitalia, alla fine del 2012 possedevano una ricchezza netta di 8.542 miliardi di euro: un indicatore elevato, rispetto al reddito disponibile, che posiziona l’Italia davanti a Stati Uniti e Germania. La caduta quasi ininterrotta del Pil trimestrale negli ultimi anni ha lasciato qualche strascico. La ricchezza sempre nel 2012 è diminuita dello 0,6%: pesa il calo del 5,2% del prezzo degli immobili poiché circa la metà della ricchezza degli italiani è concentrata sul mattone, dunque la svalutazione immobiliare si fa pesantemente sentire.
Questo fenomeno solleva un’altra questione più complessa: la ricchezza è ben distribuita? Il legame tra italiani e immobili è molto più stretto che all’estero, a partire dalla casa di proprietà. Gli italiani poi sono seduti su un mare di liquidità (circa il 6% della ricchezza). Non dobbiamo dimenticare che 687 miliardi sono detenuti in titoli obbligazionari di varia natura (+71% rispetto al 1995), ma nei conti correnti bancari sono a disposizione ben 469 miliardi di euro, con un balzo del 142% dal 1995 a oggi. Se pensiamo che i depositi bancari sono complessivamente cresciuti appena del 33% a 692 miliardi, appare ancora più evidente il boom della componente conti correnti. Stimando che in Italia sono circa 37 milioni i rapporti bancari in essere, emerge una giacenza media di 12.600 euro: una somma elevata se rapportata alle semplici esigenze di pagamento, visto che il conto corrente non è un canale di investimento
La crisi finanziaria dal 2008 ha sicuramente portato a privilegiare la liquidità, che ha beneficiato anche di un trattamento fiscale favorevole ai conti correnti (dall’abbassamento dell’aliquota dal 27% al 20% e dall’imposta di bollo rimasta fissa a 34,2 euro annui rispetto all’inasprimento sugli strumenti finanziari) ma l’uso rischia di essere poco efficiente visto che hanno rendimenti bassissimi e solo in rari casi consentono di rientrare dall’inflazione (attualmente allo 0,7 per cento).
«Le motivazioni – spiega Gianni Lupotto, consulente finanziario indipendente – risiedono soprattutto nella scarsa propensione degli italiani a pianificare. Tipica è la frase "per ora questi soldi li tengo sul conto, poi si vedrà". D’altra parte non esistono alternative facili per ottenere ciò che il risparmiatore vorrebbe, e cioè liquidabilità immediata senza perdite e rendimento. Come sappiamo i rendimenti a breve sono vicini allo zero e quindi, riluttanti a investire per il medio lungo periodo, rimane alta la liquidità».
Negli anni si sono fatti strada anche i conti correnti postali, che oggi raccolgono circa 27 miliardi di euro: un balzo del 594% rispetto al 1995. Nel caso delle Poste, i conti correnti sono una voce minoritaria rispetto al capitolo complessivo del risparmio che raccoglie oltre 340 miliardi, in aumento del 217% rispetto sempre al 1995. Con circa 6 milioni di conti correnti postali, la giacenza media è di 4.500 euro. Da questi numeri appare evidente come il conto corrente postale sia maggiormente utilizzato come strumento effettivo di pagamento, ma non bisogna dimenticare che i clienti delle Poste fanno massiccio ricorso ad altri strumenti, a partire dai libretti. Catalogati come risparmio, di fatto sono molto simili ai conti in quanto immediatamente liquidabili, ma con rendimenti al di sopra dell’inflazione.