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 2014  gennaio 04 Sabato calendario

ORA È CHRYSLER CHE SALVA LA FIAT


L’accordo tra Fiat e Chrysler è stato «benedetto» dalle borsa e dalla stampa italiana, che lodano l’operazione con cui il gruppo automobilistico torinese ha acquisito il 100% dell’azienda statunitense. Ma dopo l’abile azione finanziaria del manager Sergio Marchionne sono molti gli interrogativi aperti sulla presenza del gruppo nel Paese. A crederlo è Marco Cobianchi, saggista e giornalista di Panorama e che sta lavorando su un saggio sulla Fiat di Marchionne di imminente uscita, spiega perché il nuovo traguardo del Lingotto potrebbe non essere necessariamente un vantaggio per l’Italia.

Domanda.Cobianchi, perché, secondo lei, la Fiat ha fatto un affare salendo al 100% della proprietà di Chrysler?

Risposta.Nel 2012 le perdite europee della Fiat sono state pari a 704 milioni di euro che dovrebbero scendere, quest’anno, a quota 400 milioni a causa di vendite che, in Europa, sono passate da 1,1 milioni di quattro anni fa a 700mila del 2012 che sono a loro volta calate di altre 100mila unità nel 2013 (secondo le stime). Questo dà concretezza a quanto aveva detto Marchionne nel 2009 in un importante discorso alla Camera, quando disse che è vero che la Fiat salva la Chrysler «ma è vero anche il contrario». Ed è proprio così: con un costo del debito che, secondo Nomura, sarà nel 2013 vicino a 1,7 miliardi, senza la cassa della Chrysler la Fiat rischiava davvero grosso. Secondo un report di Morgan Stanley, la liquidità netta di Chrysler è al massimo di 9,3 miliardi. Ossigeno puro per la Fiat, che genera profitti solo dalle sue attività in Brasile, anch’esse messe a dura prova dalla concorrenza della cinese Chery e, nella parte alta del mercato, da parte della Volkswagen.

D. In cosa consiste l’accordo?

R. Il 41,46% della società americana in mano a Veba (il fondo sanitario degli ex dipendenti in pensione) verrà comprato dalla Fiat usando, per quasi la metà dell’importo, 4,350 miliardi di dollari, la liquidità di Chrysler stessa attraverso il varo di un dividendo straordinario da parte di Chrysler di 1,9 miliardi che andrà totalmente a Veba e al quale la Fiat (che possiede il 58,54% della società) rinuncerà.

D. Come è stata possibile l’intesa?

R. Due mesi fa i sindacati italiani hanno fatto un viaggio in America per incontrare i loro colleghi di Veba, e li hanno sollecitati ad accettare offerta di Sergio Marchionne di rilevare la loro quota del 41% e di non fare l’Ipo, che non avrebbe consentito a Fiat di avere accesso alla cassa di Chrysler. Questo dà il senso dell’allarme che anche i sindacati vivevano. In ogni caso questo è un risultato che è stato reso possibile anche grazie all’abilità di Marchionne, che è riuscito a far sborsare alla Fiat molto poco, e non tutto subito, diventando padrone del 100% della terza casa automobilistica americana la cui conquista era iniziata nel 2009 dopo il default «controllato» gestito dall’Amministrazione Obama. Un obiettivo raggiunto senza che la famiglia Agnelli investa nel gruppo automobilistico da circa 10 anni. La borsa ha gradito l’operazione e il titolo Fiat, in apertura di contrattazioni ieri mattina, è subito schizzato verso l’alto di oltre il 12%. Ma ora si aprono problemi più grandi.

D. Quali?

R. Molti. Prima di tutto occorre sottolineare che il closing dell’operazione è fissato per il 20 gennaio e, in secondo luogo la fusione vera e propria dovrebbe avvenire, secondo quanto aveva detto Marchionne, entro il primo semestre di quest’anno. Solo a quel punto emergeranno gli inevitabili problemi di sovraccapacità produttiva e le discussioni, anche politiche, sulla richiesta della Fiat di ridimensionare la presenza della Fiat in Italia.

D. Cosa accadrà agli stabilimenti in Italia?

R. Questo non è possibile dirlo con certezza, ma sicuramente la Fiat cambierà approccio, ragionando d’ora in poi come un gruppo globale e non più come “la più grande società industriale privata italiana”. Non esistono più la nostalgia o la figura dell’Avvocato. Sarà una grande multinazionale che al pari di Nestlè o di altre corporation andrà a produrre dove è più vantaggioso per il suo business, a prescindere che la sua sede legale si trovi in Italia o a Detroit. Sono tante le domande da porsi. Non solo quanti stabilimenti, ma quali marchi rimarranno ancora di Fiat (penso ad Alfa Romeo)? E se l’azienda dovesse lasciare l’Italia, o chiudere delle fabbriche, il governo glielo farà fare gratis? Se l’operazione avrà effetti negativi sarà colpa soprattutto di una cattiva gestione politica dei rapporti con la Fiat.

D. Cosa avrebbe potuto fare il governo per tutelare una maggiore presenza di Fiat in Italia?

R. Fino ad oggi si sono succeduti governi che hanno concesso alla Fiat tutto ciò che voleva, ma così facendo hanno fatto il male del gruppo. In dieci anni lo Stato ha speso – secondo dati del Sole 24 Ore – circa 1 miliardo e 700 milioni di euro in cassa integrazione per l’azienda torinese. Sarebbe bastato legare queste erogazioni, compresi i veri e propri aiuti di Stato, a dei paletti, così come quelli imposti da Barack Obama negli Stati Uniti a fronte dei prestiti concessi a Chrysler. Invece non si è chiesto niente in cambio. E la cosa peggiore è che questa classe politica, presa solo da discorsi sulla legge elettorale, sembra non accorgersi che l’Italia va sempre più incontro a una drammatica desertificazione industriale.

D. Fiat, dunque, è una zavorra per Chrysler?

R. I dati del terzo trimestre del 2013 dicono che la Chrysler va molto meglio delle aspettative e la Fiat va molto peggio. Nel terzo trimestre la società americana ha realizzato profitti per 862 milioni di dollari; la Fiat invece ha generato solo 27 milioni di dollari di profitto, molto peggio rispetto ai 101 dello stesso periodo del 2012. Secondo la Fiat il peggioramento è dovuto soprattutto alla svalutazione del dollaro e del real brasiliano che ha pesato per 80 milioni sui conti.

D. Ma l’azienda americana non ha proprio pecche?

R. Ma anche la Chrysler ha un piccolo problema: nel terzo trimestre si è messa anche lei a bruciare cassa a causa di un blocco nelle consegne delle nuove Jeep Grand Cherokee e questo ha come conseguenza il fatto che il gruppo Fiat-Chrysler ha raggiunto gli 8,3 miliardi di dollari di debiti a fine settembre 2013 (era previsto fossero 7,2 in tutto l’anno) in forte crescita rispetto ai 6,7 dello stesso periodo del 2012. A novembre, tuttavia, le vendite della Chrysler sono aumentate del 16% mentre Ford e General Motors hanno avuto aumenti del 7% e del 14%.