Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  gennaio 04 Sabato calendario

TORNA IL MAL FRANCESE


Ridicolizzato dalla stampa mondiale. La serie di scatti che immortalano François Hollande mentre tende invano la mano ad altri capi di governo, dal presidente della Commissione europea Josè Manuel Barroso, alla premier danese Helle Thorning-Schmidt (diventata celebre per il selfie con Barack Obama ai funerali di Nelson Mandela), pubblicata dapprima dal quotidiano olandese De Volkskrant, è stata ripresa da tutti i più cliccati siti mondiali.

Certo, alla fine la mano gliela avranno anche stretta. Ma resta il fatto che Hollande è il presidente più impopolare da quando in Francia si fanno sondaggi del genere. E dire che i cugini transalpini avrebbero bisogno più che mai di un capo dello Stato capace di farsi valere nei consessi internazionali, in particolare a Bruxelles. L’ultimo dato sull’economia francese non è certo rassicurante: a dicembre l’indice Pmi sull’attività del settore manifatturiero è salito quasi ovunque in Eurolandia, Italia compresa, mentre in Francia è sceso ai minimi da sette mesi a 47 punti dai 48,8 di novembre, segno che la contrazione continua. Non è certo di buon auspicio per un Paese il cui pil quest’anno, secondo le ultime stime del Fondo Monetario Internazionale, dovrebbe crescere solo dell’1% (ma Kepler Chevreux vede un incremento dello 0,8%). La competitività resta il tallone d’Achille della Francia.

Significativi al riguardo sono i dati elaborati dall’osservatorio congiunto costituito dalla Fondazione Edison e dalla società di consulenza Gea: nel secondo trimestre 2013 l’Italia ha fatto registrare un surplus commerciale con l’estero, esclusi i prodotti energetici, pari a 29,3 miliardi di dollari, il quinto miglior risultato al mondo, mentre la Francia ha accusato un rosso di 2,9 miliardi, piazzandosi al nono posto preceduta anche dal Sudafrica.

Hollande è stato eletto alla presidenza della repubblica grazie alla promessa che avrebbe strappato a Bruxelles (ma sarebbe meglio dire a Berlino) politiche orientate alla crescita. La risposta della cancelliera Angela Merkel è stata un secco nein, ma bisogna ammettere che almeno il presidente francese è riuscito a ottenere due anni di tempo in più per raggiungere l’obiettivo di un rapporto deficit/pil al 3% (ma già si sa che non riuscirà a centrarlo). Il risultato è che Hollande ha aumentato le tasse, provocando ulteriore scontento tra la popolazione. Il caso dell’incremento delle tasse sul trasporto delle merci su strada è esemplare: in Bretagna è scoppiata una vera e propria rivolta che ha spinto il governo francese a sospendere l’applicazione della tassa, che sarebbe dovuta entrare in vigore dal primo gennaio. E ora Hollande non sa più che pesci pigliare. Le precarie condizioni economiche non hanno però impedito alla Francia di dedicarsi all’attivismo militare in Africa: l’intervento in Libia è stato seguito da quello in Mali e adesso è la volta della Repubblica Centrafricana.

Quest’ultima operazione dovrebbe costare 500 milioni di euro. All’ultimo Consiglio europeo Hollande ha chiesto di condividere le spese, ma è dovuto tornare a Parigi a mani vuote. Il capo dell’Eliseo è sempre più impotente: non è capace di contrastare in maniera efficace le politiche di austerità volute dalla Merkel e nemmeno è in grado di applicarle. Nel discorso di fine anno Hollande ha detto che taglierà il costo del lavoro alle aziende che assumono. Ma finora non è sceso nei dettagli del suo piano. Secondo Philippe Waechter, capo economista di Natixis Asset Management, il costo del lavoro deve essere ridotto di almeno 20 miliardi di euro attraverso tagli al welfare, poiché nessuno si illude che i lavoratori francesi siano disposti ad accettare passivamente i tagli dei salari subiti dai greci e dagli spagnoli. Ma l’indecisionismo di Hollande non fa sperare in una rapida soluzione del problema. La Francia resta così in una sorta di limbo e col passare del tempo rischia di scivolare sul piano inclinato che ha portato i Paesi mediterranei al disastro. Non stupisce, quindi, che tra i cugini transalpini l’antieuropeismo stia crescendo. Un primo assaggio si avrà alle elezioni comunali di fine marzo per arrivare all’appuntamento clou di maggio: le elezioni europee, dove i sondaggi danno il Front National al 25%. Il programma di Marine Le Pen è estremamente chiaro: la Francia deve uscire dall’euro.

L’insofferenza nei confronti delle istituzioni europee sta crescendo anche in Germania. Secondo le indiscrezioni di Le Monde, che nessuno ha smentito, all’ultimo Consiglio europeo, di fronte ai no degli altri capi di governo alle sue proposte, la Merkel ha ammonito che «prima o poi, senza la necessaria coesione, l’euro esploderà». La cancelliera vuole limitare i poteri della Commissione Ue, che negli ultimi tempi ha osato contestare le sue politiche: Bruxelles ha per esempio avviato un’indagine sull’eccessivo surplus commerciale della Germania e ha attaccato la legge sulle energie rinnovabili, cosa che la cancelliera ha giudicato «un affronto», come ha detto a Barroso. Intanto la Csu, gemella bavarese della Cdu della Merkel, ha già annunciato che imposterà la campagna elettorale per l’europarlamento proprio contro lo strapotere di Bruxelles. La discesa degli spread di Italia e Spagna, dunque, non inganni. Quella in corso sembra più una tregua che la fine della guerra. Perché la ripresa è troppo debole per ridurre la disoccupazione (la Bce e la Commissione Ue prevedono che la disoccupazione resterà al 12% fino alla fine del 2015). E a livello politico in Europa siamo ormai al tutti contro tutti. La situazione è stata riassunta da George Soros nel suo commento di inizio anno: «Quella che doveva essere un’associazione volontaria di Stati eguali tra loro, che sacrificano parte della sovranità per il bene comune (incarnando così i principi di una società aperta), è stata trasformata dalla crisi dell’euro in una relazione tra Paesi creditori e debitori, che non è né volontaria né paritaria. Ecco perché l’euro potrebbe distruggere l’intera Unione europea».