Sergio Romano, Corriere della Sera 4/1/2014, 4 gennaio 2014
DENARO PER I PARTITI MEGLIO PRIVATO CHE PUBBLICO
Quando entrerà in vigore la nuova legge sul finanziamento dei partiti gli italiani constateranno che vi saranno partiti ricchi e partiti poveri. Infatti i partiti che hanno la loro base elettorale nel ceto più povero e disagiato riceveranno ben poco (i loro sostenitori hanno un’Irpef molto bassa o nulla), i partiti sostenuti dal ceto più agiato invece godranno di un ricco 2%. Più giusto sarebbe che i contribuenti segnalassero solo con un sì o un no se vogliono che il loro 2 per mille sia attribuito al sistema dei partiti e che poi la ripartizione del «monte premi» venisse effettuata in proporzione dei voti ottenuti da ciascun partito (come si è fatto fino ad ora). Si salvaguarderebbero così due principi costituzionali: quello dell’uguaglianza di tutti i cittadini e quello della riservatezza dell’orientamento politico degli stessi (non costretti a rivelare nella denuncia delle tasse dove andrà il proprio voto). Solo una soluzione di questo tipo costituirebbe, a mio avviso, una innovazione che rende veramente liberi i cittadini di scegliere e quindi capace di ridurre drasticamente il finanziamento pubblico ai partiti.
Carlo Rinaldini
Caro Rinaldini,
C redo che lei abbia messo in evidenza, indirettamente, uno degli aspetti più discutibili del finanziamento pubblico. Le intenzioni a prima vista sono comprensibili. Mentre il finanziamento privato giova soprattutto ai partiti che rappresentano i ceti sociali più abbienti e i loro interessi, quello pubblico garantisce a tutti qualcosa. Ma questo «qualcosa», come lei ricorda, viene generalmente fissato sulla base dei voti raccolti nelle elezioni precedenti e tende quindi a congelare i rapporti di forza. I grandi partiti raccolgono parecchio denaro, rafforzano le loro strutture, acquistano un maggior numero d’inserzioni pubblicitarie, stampano un maggior numero di opuscoli e manifesti, commissionano un maggior numero di sondaggi; mentre i piccoli incassano somme più modeste e soffrono, nella gara elettorale, di un handicap iniziale che non è facile sormontare. Bisognerebbe individuare un sistema che garantisca a tutti una sorta di par condicio in alcuni settori cruciali, come quello dell’accesso ai mezzi d’informazione, ma i partiti preferiscono denaro in contanti; e il mezzo adottato in Italia per indennizzare i piccoli è stato quello d’ingrossare la torta per tutti, con gli scandalosi risultati di cui siamo stati testimoni negli ultimi anni. (Il Movimento 5 Stelle è un caso a sé. Sappiamo che rifiuta il finanziamento pubblico, ma non sappiamo quanto denaro abbia e quanto ne spenda).
Sono queste le ragioni per cui il finanziamento privato, purché pubblicamente dichiarato, mi sembra tutto sommato preferibile. Il partito politico è un’associazione privata composta da membri che hanno grosso modo gli stessi orientamenti politico-economici. Se è giusto che venga finanziato da chi crede nell’utilità dei suoi programmi, non mi sembra altrettanto giusto che venga finanziato, sia pure indirettamente, anche da chi pensa che i suoi programmi siano inutili o addirittura dannosi per il Paese.
Aggiungo un’ultima considerazione, caro Rinaldini. Il finanziamento realizzato con il prelievo del 2 per mille è solo apparentemente privato. Se la percentuale viene dedotta da una somma destinata alle casse dello Stato, quel denaro è in realtà pubblico e il ministero delle Finanze compenserà il mancato introito con qualche altro balzello.