Arianna Finos, La Repubblica 4/1/2014, 4 gennaio 2014
CHRISTIAN DE SICA “IL MIO GIRO DEL MONDO 30 FILM”
Quando Christian De Sica partì a bordo della sua Punto rossa alla volta di Cortina, non sapeva di aver imboccato la strada verso il successo. «Un viaggio tremendo. Io, mia moglie Silvia, mio figlio Brando e la bambinaia inzeppati tra i bagagli, l’utilitaria che si fermava nella neve». Fu l’inizio di un giro del mondo in trenta cinepanettoni che l’avrebbe portato sul Nilo e a Miami, tra le nevi di Aspen e Saint Moritz, nella terra dei Maharaja. Itinerari turistici per chi la vacanza la faceva solo sullo schermo. «Mi sono ritrovato tra i lebbrosi indiani e nell’uragano Katrina, ho dovuto far ridere in momenti dolorosi e mi sono divertito come un pazzo. Quando viaggi per lavoro vedi il mondo da un oblò, ma fai esperienze che ti restano. Oggi quei film sono il cinediario della mia vita». Nel prototipo del 1983, Vacanze di Natale, De Sica era il viziato rampollo di una famiglia di ricconi.
«Nella realtà me la passavo male. Quando è morto mio padre avevo 23 anni, facevo qualche partecipazione. Samperi, Pasquale Festa Campanile». Il rapporto con i fratelli Vanzina iniziò nell’82, con Viulentemente mia, con Diego Abatantuono e Laura Antonelli. «Carlo mi chiama per un piccolo ruolo di gay spagnolo. Dimostro che so far ridere». Nello stesso anno arrivano due offerte, Il conte Tacchia, con Enrico Montesano e Vittorio Gassman. «Mi offrono 14 milioni di lire», e Sapore di mare con Jerry Calà, ingaggio da seicentomila lire. «Scelgo questo. L’agente mi dice che sono pazzo. Rispondo: “La pazza sei tu, quello non farà una lira, questo avrà successo”». Christian de Sica ha sempre saputo intercettare i gusti del grande pubblico.
«A Cortina il produttore Aurelio de Laurentiis non pagava l’albergo alla famiglia, solo a me. Un’amica ricca mi prestò l’appartamento. All’epoca io e mia moglie saltavamo i pasti. Quando in saletta vedemmo per la prima volta Vacanze di Natale, dissi: “Silvia, mo’ se magna”». Iniziò la più longeva e redditizia delle saghe cinematografiche italiane, e il rapporto d’odio amore con i critici. «Dieci giorni fa ero un attore da rottamare. Hanno scritto che ero finito. Dopo gli incassi, sono diventato l’usato sicuro».
Christian De Sica si racconta in pantofole e vestaglia, è sabato mattina, nella casa che fu del padre Vittorio, all’Aventino. Il barbiere l’aspetta in bagno, poi una giornata di prove per Cinecittà, spettacolo che debutta a Padova il 10 gennaio. Un musical, due ore in scena a parlare, cantare, ballare. «Ho detto a Silvia: “ho 63 anni, adesso o mai più”. Racconto la mia Cinecittà, ma anche questo Paese, Cinecittà vissuta da me, che è anche un modo di raccontare questo Paese. La prima pietra di Mussolini, i telefoni bianchi, la Hollywood sul Tevere, il Grande Fratello.
E i cinepanettoni. Un giorno — spiega Christian — per raccontare una certa borghesia si rivedranno i cinepanettoni, precisi nella loro follia». Perché quando non erano fedeli, il pubblico lo ha capito subito. «L’ultimo Vacanze a Cortina con Sabrina Ferilli è stato un errore, troppo sfarzoso. L’Italia era in crisi, era l’anno in cui aprivano il cofano della macchina per vedere se era tua, l’era Equitalia.
Colpi di fortuna quest’anno l’abbiamo girato tra Roma, Napoli e il Trentino. Se ci fossimo presentati con il Suv e la moglie in zibellino ci avrebbero tirato i sedili».
È finita l’era della grandi produzioni, dei posti esotici, dei Natale in India.
«Fu uno dei peggiori. Il clima era triste, Massimo Boldi era sempre collegato a Skype con la moglie in fin di vita, noi soffrivamo per lui. Girammo in Rajasthan, luogo dalle differenze sociali inaccettabili. Chiesi consiglio al console: io e Silvia avevamo dato soldi a un bambino e ci avevano circondato in migliaia, anche lebbrosi, eravamo spaventai. Mi agghiacciò: “Compri un frustino da cavallo e glielo dia sulle gambe, vedrà che si allontanano”. Durante un cocktail in giardino all’ambasciata ci fecero rientrare, il console m’indicò un albero pieno di avvoltoi. Ovunque l’odore di morte. Un posto assurdo e affascinante. Ricordo famiglie intere su una Vespa, l’alba magica al Taj Mahal, i sari rossi delle donne, un ragazzino con l’orso al guinzaglio. Ma rientrando sull’aereo immacolato della Lufthansa mi sentii sollevato». Al confronto l’America «per dirla alla Barzini, è la Brianza. Un Paese di simpatici cafoni. Io ho una casa a Los Angeles, mio figlio vive lì. Per loro tutto si può fare, basta volerlo». Ai tempi di Vacanze in America e la tonaca di Don Buro «arriviamo al Caesars Palace di Las Vegas, mi chiama il boss Gambino: “Ero amico di tuo padre, se vuoi ci sono mignotte, coca e tremila dollari al Casinò che ti aspettano”. “Guardi, io parto all’alba”, balbettai». Il ricordo più piacevole in Egitto, Vacanze sul Nilo, «tutti insieme sul battello sul fiume, c’erano anche i Fichi d’India. Eravamo affiatati, il clima fece bene al film che incassò follemente». De Sica ha imparato che certi luoghi vanno bene per il turismo toccata e fuga: «Natale in Sudafrica lo abbiamo girato nelle riserve “malaria free” vicino a Città del Capo. Posti da safari in due giorni. Passammo due settimane in gabbia, cibo e gioco a carte. Alla camera da letto ti scortava un tizio col mitra. Max Tortora si svegliò con davanti il sedere rosso di un babbuino che mangiava un Kit Kat rubato dal frigo seduto sul cuscino. A me per carineria diedero il bungalow vicino al passaggio delle tigri: scuotevano gli alberi per far cadere e divorare cuccioli di babbuino. Terribile».
Anche l’esperienza di Natale in crociera fu tragicomica: «Girammo sulla gemella della Concordia ed ero preso d’assalto dai turisti. Ho vissuto barricato in cabina, mi spostavo attraverso la sala macchine, come il gobbo di Notre Dame». Ad Aspen, Colorado, Vacanze di Natale ‘95, «capitammo in un albergo, in cui tutti gli impiegati erano giovani copie di Brad Pitt, Clark Gable, William Holden. A cena capimmo il perché: il ristorante era zeppo di anziane miliardarie americane ». Sul set di Natale a Miami arrivò l’uragano Katrina. «Lì ho imparato che nessun oggetto è essenziale. Qualche ora prima dell’arrivo tentai di andare in macchina a un centro commerciale, il rumore del vento e della pioggia mi terrorizzò. Rinunciai e restai barricato per due giorni, senza nulla. Quando finì, il paesaggio era apocalittico: palme, pali, cartelloni abbattuti. Il giorno dopo tutto di nuovo perfetto. Proprio come a Roma», scherza De Sica. Il momento memorabile con Massimo Boldi mentre giravano il sequel di A spasso nel tempo (’97). «Nel paesaggio lunare della Scozia, Boldi fu inseguito da un branco di cani. Cantammo Giorgio (del Lago Maggiore), canzone talmente brutta che scapparono. Abbiamo riso come pazzi».