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 2014  gennaio 06 Lunedì calendario

EQUITALIA SOMMERSA DAI DEBITI

Anche quest’anno meno incassi e meno riscossione. Lo Stato rispetto al 2012 lascia per strada più o meno 1 miliardo. «L’attività di riscossione da ruolo, nel 2012 ha registrato ancora una volta una flessione, passando da 8,9 miliardi del 2010 a 8,6 miliardi del 2011 e a 7,5 miliardi nel 2012», recita l’ultima delibera della Corte dei Conti, che facendo le pulci al bilancio di Equitalia riesce anche a fare una dettagliata radiografia della capacità italica di recuperare i crediti fiscali.

Le tasse non pagate
Nonostante sia aumentata la capacità di dialogo tra la stessa Equitalia, l’Agenzia delle Entrate e la Guardia di Finanza, la crisi economica e i recenti interventi normativi del governo Letta ne hanno spuntato le armi. Tutto ciò, come hanno riportato i magistrati contabili, ha avuto un pesante riflesso sul bilancio di Equitalia. Nonostante gli interventi riorganizzativi ha chiuso i conti del 2012 solo con un leggero segno più. A settembre 2012 è stata completata l’operazione di fusione tra Serit Sicilia spa (società incorporante) e Riscossione Sicilia spa (società incorporata) di cui Equitalia detiene il 10% del capitale. A novembre è stato presentato ai soci il bilancio finale di liquidazione di Equitalia Basilicata, controllata da Equitalia Sud. A fine dicembre la capogruppo ha preso la piena proprietà di Equitalia Servizi. Diventando nel complesso un gruppo interamente a capitale pubblico (51% dell’Agenzia delle Entrate e 49% dell’Inps) composto da Equitalia S.p.A., Equitalia Giustizia, e i tre agenti, Equitalia Nord, Equitalia Centro, Equitalia Sud (esclusa la Sicilia dove opera la Riscossione Sicilia).
Con l’aggiunta di nuovo statuto e un’ottica da holding privata, la riorganizzazione ha consentito grossi risparmi nei costi amministrativi nelle spese di consulenza (taglio circa del 20%) e anche sul personale. Eppure, se non fosse stato per i dividendi erogati dal Nord Italia (Equitalia Nord) e un accantonamento legato al beneficio fiscale derivante dalla perdita dell’esercizio 2011, l’avanzo economico non avrebbe mai raggiunto i 1.777.447 euro (+569.970 euro rispetto al 2011). La cifra è finita a riserva. In questo modo il patrimonio netto ha superato i 161 milioni (circa 2 in più rispetto al 2011) e l’utile gli 8 milioni e duecentomila euro (nel 2011 perdita di 73 milioni).
Fin qui i numeri sembrerebbero essere rassicuranti. In realtà i debiti sono cresciuti di uno “0”. Nel senso che sono passati da 86 milioni a 805. Per un debito totale (compreso le altre società della holding) di 858 milioni a fronte di crediti bancari per 210 milioni e un patrimonio netto di 740. A scombinare le carte in tavola sono state la sparizione dell’Ici (che transitava tramite deleghe F24), la diminuzione dei costi di aggio (la percentuale sugli importi incassati) e l’addolcimento dei sistemi stessi di riscossione voluti dal Decreto del Fare (più tutele per i debitori e innalzamento soglie per pignoramento immobili).
Non si tratta, però, di cambiamenti transitori. Apreoccupare i magistrati nella loro analisi è infatti il trend debitorio complessivo. Le continue dilazioni nel recupero dei debiti non promettono niente di buono. «Ciò impone alla società, al suo azionista e allo stesso legislatore», conclude la Corte dei Conti, «l’adozione di misure necessarie per interrompere questa dinamica alla lunga insostenibile, tenendo tuttavia in considerazione la grave situazione economico-sociale che sta attualmente attraversando il nostro Paese». Insomma Equitalia dovrà essere rigorosa ma umana. Rigida ma flessibile. E capace di far quadrare i conti. Un’impresa praticamente impossibile. Tanto più se si tiene in considerazione la politica ondivaga dei vari governi che si sono susseguiti.
Nell’ultimo decennio, la riscossione è passata da 2 miliardi a un picco di 10 per poi scendere a 7,5. Ma anche se ora sono disponibili praticamente tutte le banche dati immaginabili e si pensa di varare le fatture elettroniche (anche contro il parere della Ue) immaginando che possano abbattere l’evasione Iva (mah?), c’è un macigno dimenticato che prima o poi riemergerà nei numeri di Equitalia e dell’Agenzia delle Entrate. Il maxi credito che giace in pancia (in gran parte dal 2000) all’Ente per circa 545 miliardi di euro. Un quinto del debito pubblico. Una montagna che sarà destinata, non appena la politica vorrà prenderne coscienza, a diventare un incaglio. A diventare debito vero e proprio per tutti quegli enti locali o previdenziali a cui quelle somme sarebbero dovute tornare.

Le parole dei magistrati della Corte dei Conti sono come sempre chiare e lineari: serve una riforma. Ma non un’altra riforma. Di riformicchie l’Italia non sa che farsene. Il decreto del 2005 aveva avviato un intervento riorganizzativo di Equitalia terminato nel 2011 e nel 2012 per quanto riguarda gli ultimi due rami d’azienda. È però palese che non è sufficiente intervenire sul riscossore. Con l’introduzione della mediazione stragiudiziale – ha dichiarato più volte il numero uno dell’agenzia delle Entrate Attilio Befera – si mira a ridurre una fetta delle migliaia di procedimenti pendenti. La mediazione di per sé è molto criticabile (lo Stato se la canta e se la suona, manca una versa parte terza, ndr) ma se riuscisse veramente a smaltire gli arretrati sarebbe utile ad avviare una riforma tributaria.
Quel che è certo è che in futuro bisognerà varare un codice tributario unico in sostituzione delle oltre 5mila leggi e norme in contraddizione tra di loro. Solo così la riscossione potrà diventare più efficace. Un concetto semplice, nonostante la campagna politica contro Equitalia (giusta per quanto riguarda la necessità di razionalizzare i criteri e le proporzionalità di aggressione dei beni) degenerando nel populismo abbia distorto la realtà.

Le cugine europee di Equitalia per recuperare i crediti non usano certo i buffetti sulle guance. In Francia, ad esempio, tramite l’avviso al terzo detentore, l’amministrazione può obbligare una terza persona, che è depositaria, detentrice o debitrice dei fondi del contribuente inadempiente, a versare al fisco le somme che quest’ultimo deve pagare. In Germania è previsto, in ultima istanza e proporzionalmente alla somma, l’arresto del debitore o la detenzione sostitutiva. In Inghilterra l’Hmrc (Her Majesty’s Revenues and Customs) con il procedimento, noto come distress, entrare nel domicilio del contribuente e sequestrare i beni suscettibili di pignoramento. Qualora il debito non venga saldato entro cinque giorni, prevederne la successiva vendita all’incanto. Se nemmeno così lo Stato riesce a recuperare il credito, il tutto passa nelle mani del giudice penale. In Spagna invece non si esce mai dall’ambito amministrativo, e si procede secondo una scaletta precisa. Prima si pignora il conto corrente, poi i valori e i diritti realizzabili nel breve termine, il salario, i beni immobili, le rendite, i gioielli e, infine, le azioni o le obbligazioni.
Più in generale, però, appare chiaro che il sistema di riscossione è tanto più efficace quanto più sono semplici i sistemi impositivi a monte. Ecco perché la Corte dei Conti fa capire che sarà necessario riformare Equitalia e al tempo stesso (lo si evince da una serie di analisi precedenti) l’intero sistema fiscale. Se ne parla da anni. Ma i segnali della politica non sono rassicuranti. Il rischio nei prossimi tre anni è assistere a una sanatoria legata all’immenso ammontare dei crediti (545 miliardi) che non dia seguito ad alcuna riforma unitaria del fisco italiano. E spostare in là nel tempo le riforme non servirà né a recuperare gettito né a tutelare i cittadini.