Marco Fattorini, Linkiesta 5/1/2014, 5 gennaio 2014
L’INARRESTABILE ASCESA DI TOTI, DIRETTORE AZIENDALISTA
Da consigliere a delfino il passo è breve. L’uomo del momento è lui: Giovanni Toti, jolly del Biscione e doppio direttore tra Tg4 e Studio Aperto. Da mesi ha un posto d’onore nell’inner circle berlusconiano, partecipa alle cene di Arcore ed è tra i privilegiati a presenziare alle riunioni su strategia e comunicazione. «Studia da anti-Renzi», titola il Corriere della Sera. Di lui il Cav si fida ciecamente, se n’è «politicamente innamorato» e lo vuole nel triumvirato di Forza Italia. Il diretto interessato, mai una virgola sopra le righe, conferma e minimizza: «Con Berlusconi parliamo spesso di politica e mi onoro che ascolti ciò che ho da dire. Mi ha chiesto più volte se avessi intenzione di entrare in politica. Se dovessi lasciare la guida di due tg non sarebbe per fare esclusivamente il campo della comunicazione».
Giornalista professionista classe 1968, originario di Viareggio, famiglia proprietaria di un albergo a Marina di Massa e trascorsi giovanili coi socialisti. Poi lo sbarco a Milano per una carriera tanto silenziosa quanto brillante. A Mediaset Toti entra nel 1996 dalla porta di servizio come stagista a Studio Aperto, poi viene assunto da Paolo Liguori per una scalata che lo vede redattore, caposervizio, caporedattore e infine direttore. Nel mezzo firma programmi come Lucignolo, il rotocalco giovane della testata di Italia Uno. Oggi presiede due dei tre tg generalisti del Biscione e coltiva ottimi rapporti con Piersilvio Berlusconi. Sposato con Siria Magri, donna forte dell’informazione Mediaset, storico volto di Studio Aperto nonché curatrice di Quarto Grado. Le loro nozze? Anno 2003, nella Toscana marittima di Giovanni: il rito civile celebrato nel chiostro di sant’Agostino a Pietrasanta alla presenza di mezza redazione con Paolo Liguori, Claudio Brachino, Monica Gasparini. Poi tutti al Twiga di Flavio Briatore per il ricevimento.
«Aziendalista fino al midollo» lo descrivono nei corridoi di palazzo dei Cigni, sede milanese del Tg4. Gran lavoratore dal profilo basso, gli unici lussi che si concede sono le vacanze estive a Saint-Tropez e l’amore per gli orologi, Patek Philippe in testa. Ha fatto breccia nel cuore del capo con look sempre impeccabile e inflessione toscana meno calcata di quella renziana. Ha messo il cappello del Tg4 sullo speciale La guerra dei Vent’anni - lo scontro finale, secondo atto del documentario difensivo di Berlusconi incentrato sul processo Ruby andato in onda in prima serata. Quello che doveva essere un programma della rete, il direttore lo ha avocato alla sua testata giocando un ruolo da protagonista anche in video, con l’intervista esclusiva al Cav.
Zero mondanità e poche uscite in pubblico, che però aumentano esponenzialmente negli ultimi mesi con apparizioni tv a Ballarò, Piazzapulita, In Onda e Otto e Mezzo. Eloquio pacato e volto sorridente, mai una parola fuori posto. Lo stesso Paolo Liguori, che lo assunse a Mediaset, dice di Toti: «Non sembrererebbe a prima vista, e per carattere, un tipico giornalista: è gentile, mite, onesto, mediatore, poco incline alla minacciosità». Proprio quell’animo dialogante lo rende colonnello multitasking anche nel ventaglio dei falchi di Forza Italia. Si sussurra che tutt’oggi coltivi un buon rapporto con Angelino Alfano e potrebbe muoversi da uomo chiave nelle «relazioni diplomatiche» con gli ormai cugini del Nuovo Centrodestra.
Nel 2012 ha vinto il premio Penisola Sorrentina Arturo Esposito, ma nella bacheca personale spicca il microfono di legno assegnato dagli utenti del blog di Beppe Grillo ai conduttori della televisione più faziosa. «Sono molto felice, ringrazio Grillo - il commento sportivo di Toti - ha fatto molta pubblicità al Tg4». «Col microfono di legno sei stato battezzato ufficialmente direttore», lo rintuzza Carlo Freccero. Solo qualche mese prima era arrivato un corsivo di Andrea Scanzi sul Fatto Quotidiano: «Toti è il gregario che pedala per interposta persona e senza scattare mai, il suo è un giornalismo senza salite nè discese, solo pianure su cui stazionare placidi e sempre a favor di vento».
Già padrone di casa a Studio Aperto, il superdirettore ha accompagnato il restyling del tg con record di ascolti e risultati di tutto rispetto. Non sono mancate le polemiche su informazione schierata e video-editoriali «alla Minzolini» che lui ha rispedito al mittente: «Appena uno cerca di fare un telegiornale moderato, liberale e anti-giustizialista o garantista come io ritengo di essere, si viene qualificati come berlusconiani». Dopo il brusco divorzio tra Mediaset ed Emilio Fede, padre padrone di un Tg4 militante a sua immagine e somiglianza, ecco la sobrietà di Toti. «Da Fede al fedelissimo» ironizzavano i maligni, ma il giornalista toscano tirò dritto: «Farò un tg autorevole e credibile, non sarà un ultrà nè da un parte nè dall’altra ma resterà moderato». Questa la dichiarazione d’intenti, poi i fatti.
Niente più one man show. Nuotando tra mal di pancia del cdr e curiosità degli addetti ai lavori il neodirettore ha svecchiato i mezzibusti, ha detto addio a Sipario, rubrica patinata di gossip e spettacolo, e alle meteorine, piacenti vallette che spiegavano le previsioni del tempo. È rifiorita una testata più understatement con obiettivi chiari, come il coinvolgimento di editorialisti bipartisan e un’attenta copertura mediatica delle vicende vaticane, soprattutto nei mesi dell’avvicendamento papale, con il Tg4 a fare da ammiraglia all news per Mediaset. C’è stato anche chi, come la critica tv di Europa Stefania Carini, si è chiesto: «Retequattro cambia pelle, sarà una Rai Tre di destra?».
Nella veste di politico-outsider il direttore aziendalista potrebbe lasciare la redazione per bussare al portone di San Lorenzo in Lucina, quartier generale di Forza Italia dove i dirigenti non fanno i salti di gioia all’idea di liberargli una scrivania. Lui arriva in punta di piedi, loro scalpitano battendo i tacchi. In un mix di diffidenze e timori, l’establishment azzurro è tutt’altro che entusiasta dell’homo novus, per giunta giornalista, che in un pugno di mesi ha scalato la classifica di gradimento del capo surclassando falchi di provata fede berlusconiana.