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 2013  dicembre 31 Martedì calendario

GUERRA DELLA JIHAD CECENA ALLE OLIMPIADI DI SOCHI


La paura, le bombe umane e i morti finora erano rimasti un’ombra, lasciata un po’ in disparte dalle polemiche per le leggi sulla propaganda gay, dai costi esorbitanti, dalle operazioni di immagine che hanno visto liberare, alla vigilia dei Giochi invernali di Sochi, i prigionieri di Putin verso cui l’Occidente è più sensibile. Ma è il terrorismo, non le minacce di boicottaggio o il rischio di poca neve, il vero nemico in grado di distruggere il sogno da 50 miliardi di dollari del presidente russo. Un azzardo, volere i Giochi a un soffio dai luoghi in cui nasce la jihad russa.
Fin dall’estate l’autoproclamato Emiro del Caucaso Doku Umarov aveva dichiarato guerra alle Olimpiadi, invitando i suoi a usare «la massima forza possibile» per sabotarle: Giochi «satanici» che calpestano «le ossa dei nostri antenati e di molti musulmani sepolti nella nostra terra». I due attentati di Volgograd dimostrano che fermare i terroristi è quasi impossibile, dal momento che - come aveva detto Umarov - per i militanti islamici il teatro di guerra non è più solo il Caucaso, ma l’intera Russia.
La Stalingrado di Putin
Se le rigide misure di sicurezza rendono più difficile operare a Sochi e dintorni, gli attentatori si sono spostati 700 km più a Nord, impegnando Putin in battaglia a Volgograd, l’ex Stalingrado, la "porta" verso il Caucaso tra Mar Nero e Caspio. Qui un primo attentato in ottobre colpì un autobus, uccise sei persone. È la rete dei trasporti, particolarmente affollata per le feste di fine anno, l’obiettivo dei terroristi: in meno di 24 ore, alla stazione ferroviaria di Volgograd domenica e ieri a bordo di un filobus due kamikaze hanno ucciso più di 30 persone, i feriti sono molte decine. Un vero colpo all’efficienza dei servizi di sicurezza russi, guidati dall’Fsb: «Tre bombe in tre mesi indicano che l’attività dei terroristi è diventata sistematica - ha detto all’agenzia Bloomberg Aleksej Malashenko, studioso del Caucaso del Nord per il Moscow Carnegie Center -. Se ci sarà un altro attentato più a ridosso di Sochi, per le Olimpiadi sarà la catastrofe».
Alla stazione di Volgograd l’esplosione è avvenuta proprio ai controlli di sicurezza, i nastri dei metal detector vicini all’ingresso che probabilmente hanno evitato un numero di vittime molto più alto. L’autore, dicono le autorità, è un russo della regione di Mari El, nella parte orientale della Russia europea: lo hanno identificato come Pavel Pechjonkin, un paramedico che si sarebbe convertito all’Islam unendosi ai militanti del Daghestan, la repubblica del Caucaso divenuta l’epicentro della rivolta contro le forze russe. «Sono venuto per guadagnare il paradiso», aveva detto il ragazzo in un video rispondendo ai genitori che lo supplicavano di tornare a casa.
Gli inquirenti sono propensi ad attribuire i due attentati alla stessa organizzazione, gli ordigni usati sono simili. Anche quello esploso ieri sul filobus uccidendo 14 persone sarebbe stato detonato da un kamikaze, ancora da identificare: mentre seguono passo passo le notizie di Volgograd dal loro sito, Kavkazcentr, gli uomini di Umarov non hanno dichiarato responsabilità. Attendono rinforzi: la guerra separatista iniziata in Cecenia dopo il crollo dell’Urss si è trasformata negli anni in una rivolta islamica estesa a tutto il Caucaso del Nord, alimentata da repressione e povertà locali ma anche dall’assorbimento dall’estero delle forme più radicali dell’Islam. E ora le autorità temono il ritorno dalla Siria dei 400 militanti russi partiti a combattere contro Assad.
I timori dell’Australia
In questi giorni Putin raccoglie la solidarietà dei leader stranieri per il dramma di Volgograd. Ma Julie Bishop, ministro degli Esteri australiano, è stata la prima ad avvertire che in caso di altri attentati il suo governo potrebbe fermare i propri atleti. Il Comitato olimpico internazionale si dice certo che a Sochi la sicurezza sarà garantita: misure eccezionali entreranno in vigore dal 7 gennaio, affidate a 25mila agenti di polizia, 8.000 uomini di altri servizi e 20-30mila militari. Ma forse proprio per proteggere Sochi - dove da Volgograd erano stati trasferiti 600 uomini - il resto del Paese è rimasto più scoperto, e ai terroristi sta bene colpire ovunque: l’importante è danneggiare il più possibile lo Stato russo, anche economicamente. «Questi attacchi - spiega Lilit Gevorgyan, senior economist di Global Insight Ihs - non puntano ad attirare attenzione o simpatie. Le Olimpiadi sono un obiettivo di alto valore economico, i militanti non si faranno sfuggire un’occasione simile».