Nino Sunseri, Libero 31/12/2013, 31 dicembre 2013
MATTEO TACE, LE FOTO PARLANO DI LUI
Perché Matteo Renzi non interviene su Mps con la stessa sollecitudine con cui si è schierato al fianco della povera Caterina? Certo la storia della ragazza ammalata di sla tocca il cuore. Si muove sul crinale controverso fra scienza e ricerca: si può sacrificare un animale sull’altare della conoscenza per salvare un uomo? Sicuramente sì, ha risposto il segretario con generosa immediatezza. Perché, invece è reticente sull’altra questione? Certo la storia della banca malata di clientela e incapacità muove solo potere e soldi. Miserie di fronte al mistero della Vita. Tuttavia anch’essi grandi temi che da secoli affaticano l’umanità. Anch’essi meritevoli di un intervento del segretario del Pd. Certo trattandosi di aspetti miserabili della mente umana è anche possibile che la loro rilevanza non abbia colpito l’interesse di Matteo con l’immediatezza del dramma di Caterina. Ma dall’incoerente assemblea di Mps di sabato sono già passati un paio di giorni. In mezzo la domenica, tempo per il riposo e la meditazione. Non una parola però ha pronunciato il segretario, non un cinguettio sui social, neanche una telefonata. Nessun post sulla bacheca di Facebook. Eppure Matteo, in altri tempi, quando era solo il Rottamatore non aveva esitato a sciabolare. Insieme al suo amico banchiere Davide Serra attaccava il Monte dei Paschi e i legami tra la nomenclatura del Partito Democratico e la gestione della banca senese ispirata dall’azionista di riferimento: quella Fondazione oggi al centro della bufera per aver bloccato l’aumento di capitale sconfessando gli amministratori. Non vorremmo che questo silenzio fosse l’annuncio di altre, future, reticenze. Perché una cosa è il Rottamatore e un’altra il Segretario. Oppure, per dirla con un vecchio proverbio siciliano: «Il discorso è uno e il fatto un altro ». Perchè insomma fino a quando si trattava di lanciare proclami sul rinnovamento è stato tutto facile. Fino a quando era possibile farsi la foto una volta con Alessandro Profumo, presidente della banca e la volta successiva con Antonella Mansi, presidente della Fondazione, non c’era da scegliere. Pezzi dell’argenteria di famiglia. Peccato che adesso non sia più così. Il banchiere e la signora presidentessa si guardano con l’affetto delle iene. Perché Matteo non ripete adesso la condanna di un tempo? Perché accetta di diventare un Piero Fassino qualunque («Abbiamo una banca »)? Perché si confonde con Massimo D’Alema che aveva trasformato Palazzo Chigi in una merchant bank? Una parola, forse, varrebbe la pena. Perché essendo il segretario di un partito di sinistra potrebbe rincuorare i 25 mila dipendenti che sicuramente passeranno un Capodanno triste. Per non parlare dei cinque milioni di correntisti in apprensione per i loro soldi. Ma anche per il futuro stesso della banca. Lo scellerato voto di sabato avrà generato molta paura fra i clienti. Soprattutto quelli più importanti. Quelli che avendo affidato più di centomila euro sono preziosi per l’istituto. Ma sono anche i più impauriti. La fuga dei clienti è il pericolo mortale per una banca. Come escludere che in molti sceglieranno di abbandonare Mps per portare i loro soldi verso sportelli ritenuti più sicuri? Il fenomeno, in genere, viene arginato, almeno per i clienti più facoltosi, alzando gli interessi sui depositi. Un altro salasso per i conti della banca già molto fragili. L’ex Rottamatore, oggi Segretario però, ha deciso il silenzio. Magari non vuole disturbare la Banca d’Italia e il ministro Saccomanni. Giusta prudenza. Nessun intralcio ai controllori. Peccato che sulla vicenda Mps in via Nazionale abbiano qualche peccatuccio da farsi perdonare. Non sempre hanno tenuto gli occhi aperti. Soprattutto nel momento in cui si costruiva il disastro con l’acquisto, a prezzi esagerati, l’Antonveneta. In quel momento il direttore generale di Banca d’Italia era Fabrizio Saccomanni.
Insomma il Segretario che parla a raffica su qualunque argomento perché tace su questo? Eppure a portata di mano ha un’occasione storica. Di quelle che segnano la svolta. Perchè allora, non chiede al Tesoro il commissariamento della Fondazione? Un atto senza precedenti che sollecitato dal capo del Pd avrebbe un altissimo valore simbolico. Significherebbe recidere la cinghia di trasmissione fra il partito e la banca. Gli estremi per l’amministrazione straordinaria ci sono. A Siena c’è l’unico ente che si è indebitato per mantenere il controllo della banca, di cui oggi ostacola il rilancio, mettendo a repentaglio il suo stesso investimento. L’abisso che chiama l’abisso. Suvvia, signor Segretario: chieda l’intervento del commissario straordinario. Prima che arrivi quello di polizia.