Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  dicembre 31 Martedì calendario

IL VENTENNIO D’ORO DEL CAVALIERE-PREMIER


A SILVIO Berlusconi, da primo ministro, non è mai mancata l’adulazione di chiunque avesse qualcosa da strappargli. Il fondatore di Forza Italia in questo non è stato un’eccezione nella politica prima e dopo di lui, nel Paese e fuori.
CIÒ che lo distingue è che all’adulazione dei singoli, nel suo caso, si è unita quella di certe grandi imprese il cui futuro dipende dalle scelte del governo. Nessuna di esse lo ha pagato direttamente quando era premier, ma in molte hanno versato sempre di più in inserzioni pubblicitarie alle sue reti quando il centrodestra era al potere.
Se Berlusconi non fosse mai stato premier, Mediaset avrebbe incassato in spot oltre un miliardo in meno solo fra il 1994 e il 2009. La conclusione, dopo anni di lavoro sui dati Nielsen sull’andamento del mercato pubblicitario, è di quattro economisti di primo piano: Stefano DellaVigna dell’Università di California a Berkeley, Ruben Durante di Science Po a Parigi e Yale, Brian G. Knight della Brown University e Eliana La Ferrara della Bocconi. Il loro è uno studio corroborato da dati e verifiche su come il conflitto d’interessi di un premier proprietario di un gruppo dei media vada oltre la possibilità di usare il governo per favorire le proprie imprese.
C’è anche quello che i quattro economisti chiamano il “lobbying indiretto”: l’aumento della spesa in pubblicità sulle reti del premier da parte di gruppi delle telecomunicazioni, del settore farmaceutico, della finanza o nell’industria dell’auto, per ingraziarsi Berlusconi e spingere il governo a prendere decisioni convenienti per loro.
Lo studio (“ Marked- based Lobbying: Evidence from Advertising Spending in Italy”) è pubblicato in questi giorni dal National Bureau of Economic Research degli Stati Uniti, animato dal gruppo di economisti di maggior prestigio e influenza al mondo. I quattro ricercatori hanno selezionato nei dati Nielsen le 800 imprese che hanno speso di più in pubblicità in Italia fra il ‘94, il primo anno di governo di Berlusconi, e il 2009.
Sulla base di quei dati emerge che le fasi di governo del centrodestra (prima il ‘94, poi il 2001-2006, infine il 2008-2009) coincidono con un cambiamento di tendenza: già in previsione del ritorno di Berlusconi a Palazzo Chigi la quota di inserzioni riservata a Mediaset, rispetto alla Rai, sale dal 62% al 66% e poi al 69% con la legislatura partita nel 2001. L’incidenza torna a scendere durante il premierato di Romano Prodi fino al 2008 e risale fino al 70% quando Berlusconi torna al governo nella scorsa legislatura.
Per quale motivo ciò accada, lo fanno capire i quattro studiosi incrociando gli anni del centrodestra al potere e i flussi pubblicitari. In particolare, il loro studio separa i settori più regolamentati, che dipendono dalle scelte del governo, da quelli meno regolamentati. Tra quelli più legati alle scelte politiche ci sono appunto la finanza e le assicurazioni, la farmaceutica, i media e l’editoria e l’auto (a causa degli incentivi all’acquisto di nuovi modelli).
Più indipendenti dal potere nazionale sono invece l’industria dei giocattoli, dell’igiene personale o del commercio al dettaglio. E il risultato è sorprendente: l’acquisto di pubblicità sulle reti Mediaset da parte di gruppi nei settori regolamentati balza sempre negli anni in cui Berlusconi è al governo.
E supera quella dei settori meno regolamentati, come quota sul totale delle entrate da spot di Rai e Mediaset.
Secondo i quattro economisti, è evidente l’intento di banche, compagnie assicurative o società di telefonia di accattivarsi il premier comprando più spot (o spot più costosi) sulle sue reti. Le entrate supplementari per Mediaset risultano così di 123 milioni l’anno sulla media di ciascuno dei nove anni di governo di Berlusconi presi in conto. In modo speculare, calano invece gli introiti per la Rai. È dunque possibile che il governo abbia risposto favorendo i gruppi più munifici verso Mediaset, con un danno per altre imprese magari migliori e per l’economia in generale.
«L’investimento pubblicitario aggira gli obblighi di trasparenza del finanziamento ai partiti, ma può rivelarsi molto efficace», dice Ruben Durante da Yale. Aggiunge Stefano DallaVigna da Berkeley: «Uno scambio di affari e favori fra società di Berlusconi e altre aziende è legale, ma solleva conflitti d’interesse di tipo nuovo». Basterebbe una legge per regolare questi rischi: esattamente ciò di cui si continua a non parlare.