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 2013  dicembre 31 Martedì calendario

IL GIAPPONE E I SUOI CADUTI IL SIGNIFICATO DI UNA VISITA


Ha suscitato molte polemiche la visita del Primo ministro Giapponese Abe al Santuario di Yasukuni. Capisco che la mossa possa essere interpretata come un messaggio o comunque il sintomo di una svolta nazionalista della politica nipponica, ma quel santuario ricorda 2,5 milioni di morti. In un Paese in cui, oltre tutto, l’Imperatore Hirohito ha mantenuto intatto il suo rango se non le sue prerogative. 
Personalmente ritengo corretto rendere tutti gli onori a chi ha dato la vita per la Patria e non distinguere tra vinti e vincitori o in base alle motivazioni alla guerra (personalmente ritengo folle poter parlare di «guerre giuste»). In Italia a più di 60 anni dalla fine dell’ultima guerra mondiale ancora distinguiamo tra morti di serie A e quelli dalla parte sbagliata. Come se chi combatteva avesse davvero scelta, come se morire per la Patria (oggi pare vuota retorica, me ne rendo conto) non sia stato un gesto supremo meritevole di tutti gli onori.

Vincenzo Guarini

Caro Guarini,
Yasukuni non è soltanto un grande cimitero militare. È anche il luogo dove sono sepolti quattordici esponenti della vita politica e militare giapponese che furono processati e condannati a morte da un tribunale internazionale a Tokyo fra il maggio e il novembre del 1946. Il più noto del gruppo è Hidaki Tojo che negli anni fra il 1941 e il 1944 fu Primo ministro e, contemporaneamente, ministro della Guerra, ministro degli Interni, ministro degli Armamenti e capo di stato maggiore. Come i processi di Norimberga, anche quelli di Tokyo sono da tempo materia di un dibattito storico e politico sulla legittimità della «giustizia dei vincitori», ma l’equivalente di Yasukuni in Europa sarebbe un cimitero militare in cui fossero sepolti Göring e Ribbentrop, Keitel e Kaltenbrunner o addirittura, se non fossero morti in altri tempi e in altre circostanze, Hitler, Göbbels, Himmler e Bormann. Se un uomo politico giapponese visita ufficialmente Yasukuni di fronte a una larga platea di giornalisti e operatori della televisione, è inevitabile che il suo gesto acquisti una precisa connotazione politica.
Il Primo ministro Shinzo Abe aveva già visitato più volte Yasukuni. Ma non vi era stato durante il suo precedente governo, dal 2006 al 2007, ed è il primo presidente del Consiglio in carica che rende un omaggio ai caduti in quella sede dopo Junichiro Koizumi nel 2006. Abe si è distinto negli ultimi tempi soprattutto per una politica economica che ha rilanciato la crescita, ma è sempre stato noto per il suo nazionalismo e per la sua convinzione che la Carta costituzionale pacifista del suo Paese debba essere corretta. Non poteva avere dimenticato che la visita di Koizumi aveva suscitato le indignate reazioni della Cina e della Corea del sud, vale a dire dei Paesi che ancora conservano il ricordo della durezza dell’occupazione giapponese durante la Seconda guerra mondiale. E non poteva ignorare che la visita a Yasukuni coincide con l’aspra battaglia diplomatica e giuridica che si sta combattendo fra i maggiori Paesi dell’Asia Orientale per il possesso di isole deserte, ma strategicamente ed economicamente importanti. Gli Stati Uniti, preoccupati e infastiditi, speravano che il contenzioso delle isole venisse affrontato e risolto nel corso di un incontro fra Abe e i maggiori esponenti degli altri Paesi. La visita a Yasukuni rende questo incontro molto più difficile. Abe lo sapeva, ma non ha rinunciato alla sua visita. Tradotto in linguaggio corrente, il suo gesto significa che il vertice con la Cina e la Corea del sud, per il momento, non lo interessa e che preferisce continuare a litigare più che cercare compromessi.