Sergio Romano, Corriere della Sera 31/12/2013, 31 dicembre 2013
IL RITORNO DELL’IMPERO IL DISEGNO DI PUTIN PER «RICONQUISTARE» LO SPAZIO SOVIETICO RUSSIA
Al ritorno da un viaggio in Russia, il marchese Astolphe de Custine pubblicò un libro intitolato «La Russia nel 1839». Descrisse la vita di corte e la vita rurale, l’aristocrazia e il popolo minuto, il ruolo della Chiesa ortodossa, il funzionamento dell’autocrazia, l’irrefrenabile propensione all’alcol di tutti ceti sociali, lo splendore dei palazzi e l’orrore dei tuguri, la burocrazia oppressiva e poliziesca, i rigori della censura. Il libro è pieno di osservazioni intelligenti, ma contiene il seme dei pregiudizi che hanno oscurato lo sguardo dell’Occidente dai tempi della Russia imperiale a quelli della rivoluzione bolscevica, dalla Russia di Stalin, Nikita Kruscev e Leonid Brezhnev a quella di Michail Gorbaciov, Boris Eltsin e Vladimir Putin. Se i poliziotti di Mosca disperdono rudemente una manifestazione «non autorizzata» nelle strade della capitale, le immagini che corrono sulla rete cadono su un terreno già preparato da Custine e dai suoi innumerevoli successori. Non vorrei essere frainteso. Quella di Putin è certamente una democrazia autoritaria, poco incline a tollerare il dissenso se non nelle forme strettamente codificate dal potere. Ma i giudizi e i pregiudizi maggiormente diffusi in Occidente non tengono conto delle circostanze storiche, politiche e geografiche in cui l’autocrate russo governa il suo Paese.
Il caso dell’Ucraina suggerisce qualche riflessione. Non è facile separare la storia dei russi da quella degli ucraini, tracciare un confine all’interno dello Stato per separare quelli che parlano russo da quelli che parlano ucraino. La Crimea è ucraina soltanto dal momento in cui Kruscev ne fece dono ai cugini ucraini per celebrare il trecentesimo anniversario dell’unione fra i due Paesi. Molti esponenti della classe politica sono ucraini soltanto dal giorno in cui la disgregazione dello Stato sovietico li persuase che avrebbero conservato o conquistato il potere soltanto se avessero rapidamente vestito i panni di un nazionalismo che era stato sino ad allora minoritario e un po’ antiquariale. Julija Tymoshenko e Viktor Yanukovich, in altre parole, non sono più ucraini di quanto Eduard Shevardnadze fosse georgiano e la dinastia degli Aliyev fosse azera quando Georgia e Azerbaijan riemersero dagli archivi della storia russa. La rivoluzione Arancione, alla fine del 2004, non piacque a Putin perché vide in quell’evento, oltre a un evidente interesse polacco, troppe organizzazioni non governative degli Stati Uniti. Aveva torto? Quando gli ucraini di Kiev e altre province occidentali dello Stato scendono in piazza per chiedere l’associazione del loro Paese all’Ue, l’Occidente vede una comprensibile domanda di libertà; ma Putin ricorda il modo in cui la Nato ha fagocitato, insieme ai Paesi del Patto di Varsavia, le tre repubbliche del Baltico, e avrebbe esteso la sua ospitalità anche alla Georgia di Saakashvili se la Russia non lo avesse bruscamente impedito nella breve guerra del 2008.
La Nato e l’Unione Europea non sono la stessa cosa, ma i russi non dimenticano che il presidente Bush sr. aveva promesso a Gorbaciov, nel momento dell’unificazione tedesca, che la frontiera della Nato non sarebbe stata estesa verso Oriente; e si chiedono se anche l’Ucraina non sia destinata a finire, prima o dopo, nell’orbita americana .
I pregiudizi anti russi sono all’origine dello stupore con cui abbiamo appreso che Putin aveva aiutato Barack Obama a correggere gli errori della sua politica siriana. Non lo credevamo capace di una tale finezza diplomatica. Non avevamo capito le due ragioni che avevano indotto il leader russo a stare dalla parte di Bashar Al Assad. In primo luogo non voleva perdere la base navale di Latakia e permettere che il Mediterraneo diventasse un lago interamente americano. In secondo luogo temeva che la vittoria degli oppositori del regime sarebbe stata una vittoria dell’integralismo islamico e avrebbe avuto un effetto a cascata sugli islamisti della Cecenia, del Daghestan e di altre zone del Caucaso settentrionale. La proposta di Putin e del suo ministro degli Esteri Sergej Lavrov, è stata, sulla scacchiera internazionale, una sorta di «mossa del cavallo»: privare Assad del suo arsenale chimico per meglio bloccare gli Stati Uniti. Papa Francesco gliene è stato grato e non ha avuto paura di manifestare pubblicamente la sua riconoscenza. Se vuole fare con la Chiesa ortodossa la politica di amicizia e riconciliazione avviata da Benedetto XVI, la Chiesa cattolica non può ignorare quanto siano stretti i rapporti tra il Patriarcato russo e il Cremlino. Chi vuole litigare con la Russia nei prossimi anni, non conti sulla comprensione e l’aiuto della Santa Sede.
Resta il problema dell’Unione euroasiatica. Nelle intenzioni di Putin l’accordo doganale stipulato nel 2011 fra Russia, Bielorussia e Kazakistan dovrebbe allargarsi sino a comprendere l’Armenia, il Tagikistan, il Kirghizistan, la Moldova, la Georgia e l’Ucraina. Sappiamo che la Moldova preferisce essere associata all’Unione Europea e che l’Ucraina, se fosse possibile, preferirebbe stare seduta su due sedie. Ma è possibile che alcune altre repubbliche accettino l’offerta. Che cosa dovrebbe fare l’Unione Europea in queste circostanze? Potrebbe condannare il piano di Putin come una inammissibile restaurazione dell’Unione Sovietica. O potrebbe rendersi conto che la politica, la storia e la geografia condannano la Russia ad avere con quei Paesi un rapporto speciale. Queste repubbliche postsovietiche sono divenute russe durante la lunga avanzata dell’Impero zarista verso il Pacifico, ma non sono mai state «colonie», come le terre conquistate da altri imperi coloniali europei. I russi provano spesso fastidio e diffidenza per gli immigrati provenienti dalle regioni caucasiche, ma le popolazioni dell’Impero sono state in buona parte adottate e «russificate» dalla grande famiglia slava in cui hanno vissuto sin dai tempi della Grande Caterina. I russi d’altro canto hanno seguito la bandiera e conquistato il grande oriente del loro Paese nello stesso modo in cui i coloni americani hanno progressivamente spostato la loro frontiera verso occidente. Un solo esempio: russi e ucraini rappresentano il 40% della popolazione del Kazakistan.
Per molto tempo probabilmente le repubbliche dell’Asia Centrale avranno bisogno di un partner anziano a cui affidarsi per i molti problemi, fra cui quello della sicurezza, che non sono in grado di affrontare da soli. Se è difficile che l’Unione Europea, anche per ragioni geografiche, possa esercitare questo ruolo, forse è meglio che se ne occupi la Russia. Non sarà semplice, d’altro canto neppure per Mosca e dipenderà in buon parte dal modo in cui, nei prossimi mesi, Putin saprà rilanciare la crescita economica del suo Paese. Per il momento la Ue dovrebbe stare a guardare piuttosto che fare la politica estera della Polonia, della Svezia e della Lituania.