G.Urs., Il Messaggero 2/1/2014, 2 gennaio 2014
E MARCHIONNE ESULTA: «SIAMO UN COSTRUTTORE GLOBALE»
LE REAZIONI
ROMA La guerra è vinta, ma forse anche l’ultima battaglia non è andata affatto male. In poco più di quattro anni Fiat si porta a casa Chrysler, fonde le due aziende in un unico gigante globale e si presenta al mondo come un costruttore con una produzione annuale di oltre 4 milioni di veicoli e una presenza significativa in molti continenti, soprattutto nelle Americhe.
QUELLA FOLLE IDEA
Sergio Marchionne, l’architetto del matrimonio, il manager a cui è venuta l’idea che poteva sembrare un po’ folle di mettere insieme due aziende in difficoltà, esulta poiché il peggio potrebbe essere alle spalle e i conti del nuovo gigante testimoniano che non è con l’acqua alla gola: «Nella vita di ogni grande organizzazione e delle sue persone ci sono momenti importanti, che finiscono nei libri di storia. L’accordo appena raggiunto uno di questi per Fiat e per Chrysler». Il presidente dell’azienda Usa e ad di quella italiana già guarda avanti, ai risultati che consentirà di raggiungere la storica fusione: «Ringrazierò sempre tutto il team che ha consentito di realizzare questo progetto. La nuova struttura unitaria ci fa diventare un costruttore di auto globale con un bagaglio di esperienze, punti di vista e competenze unico al mondo, un gruppo solido e aperto che garantirà alle sue persone un ambiente di lavoro stimolante e gratificante». Per come erano le posizioni anche l’ultimo braccio di ferro è finito bene per Marchionne e per le casse del Lingotto. A quelle condizioni sarebbe stato rischioso non chiudere l’affare. Nei mesi scorsi si parlava di una richiesta di Veba di 5 miliardi di dollari. «Se puntano a tanto possono comprarsi il biglietto della lotteria», era stato il commento del manager italo-canadese. Ma il dialogo non si era mai interrotto, troppo importante per le due parti che avevano lo stesso obiettivo (passare le quote di Veba a Fiat) rischiare la rottura. Nei giorni scorsi quando l’accordo pareva imminente, dagli Usa si parlava di un’offerta del Lingotto di 4,5 miliardi. In qualsiasi modo si vogliano fare i conti (inserendo anche i 700 milioni dell’ulteriore intesa con Uaw), è chiaro che Fiat ha speso meno e soprattutto non ha intaccato molto la propria liquidità per prendersi l’intera Chrysler che da sola dovrebbe valere 10 miliardi di dollari (7,3 miliardi di euro). Tanto la stimavano gli analisti che stavano lavorando alla richiesta di Ipo presentata da Chrysler alla Sec. Ora l’Ipo si farà ma, come ha sempre dichiarato Marchionne, di un’azienda unica, replicando il format già utilizzato con CNH Industrial: prima la fusione poi la quotazione. L’azienda italiana è riuscita a rispondere con i fatti anche alle perplessità suscitate sulle iniezioni di tecnologia che hanno consentito di mettere le mani su quasi metà dell’azienda a costo zero grazie al contratto siglato personalmente da Marchionne con il Tesoro di Washington e con la task force voluta da Obama per salvare l’industria dell’auto Usa. Proprio Rom Bloom, il numero due di Steve Rattner in quella squadra, ha condotto per Marchionne le trattative finali con gli agguerriti rappresentanti di Veba e Uaw. Se Chrysler ha messo i mercati, e in questa fase anche i profitti vista l’eccellente salute del mercato auto negli States, la tecnologia made in Italy ha dato un notevole contributo al rinnovo della gamma americana.
Nei prossimi giorni al salone di Detroit dovrebbe essere svelata la Chrysler 200, un’altra vettura (dopo la Dodge Dart e la Jeep Cherokee) nata sulla piattaforma italiana della Giulietta in attesa della piccola Jeep che verrà prodotta a Melfi entro fine anno sulla base della 500L. «Aspetto questo giorno sin dal primo momento, sin da quando nel 2009 siamo stati scelti per contribuire alla ricostruzione di Chrysler. Il lavoro, l’impegno e i risultati raggiunti negli ultimi quattro anni e mezzo sono qualcosa di eccezionale», ha commentato il presidente di Fiat John Elkann.