Maurizio Stefanini, Libero 2/1/2014, 2 gennaio 2014
LETTONIA NELLA MONETA UNICA FA PIÙ PAURA PUTIN DELL’EURO
Non sono momenti di grande popolarità per l’euro questi, alle imminenti elezioni europee si aspetta un boom delle liste che lo contestano, eppure l’Eurozona ha con l’anno nuovo acquisito il suo 18° socio. È la Lettonia, ex-repubblica sovietica del Baltico grande 64.589 Km2, cioè poco meno di Lombardia, Piemonte e Veneto messe assieme, ma con soli 2,2 milioni di abitanti, di cui quasi un terzo concentrati nella capitale Riga. Addirittura lirici dunque i toni usati dal presidente della Commissione Ue José Manuel Barroso: «è un evento importante non solo per la Lettonia ma per la zona euro stessa che rimane stabile, attrattiva e aperta a nuovi membri». Per di più, l’adesione viene in un momento in cui la Lettonia ha con il 4% il più alto tasso di crescita dell’Ue grazie alla politica economica di austerità che le era stata imposta dopo la micidiale crisi che aveva fatto slittare la data di adesione originariamente prevista per il 2008, provocando una recessione del 25% del Pil da record mondiale. Dunque, il caso lettone può essere usato come dimostrazione che le medicine della Troika possono magari essere amare, ma fanno bene. «Per la Lettonia è il risultato di sforzi notevoli e della determinazione incrollabile delle autorità e del popolo lettone. Grazie a questi sforzi, intrapresi a seguito di una profonda crisi economica, la Lettonia entrerà nella zona euro più forte che mai», ha pure detto Barroso. Mentre per il vicepresidente e responsabile per gli affari economici e monetari e l’euro Olli Rehn, «gli sforzi della Lettonia hanno pagato e la forte ripresa economica del Paese offre un chiaro messaggio di incoraggiamento ad altri Paesi europei che devono far fronte ad un difficile risanamento economico ». Né è mancato all’appello Mario Draghi, che ha parlato di «esempio modello».
In realtà, non è che i lettoni di per sé fossero troppo entusiasti. I sondaggi indicavano che a settembre i cittadini fautori dell’ingresso nell’Eurozona non oltrepassavano il 13%, ed è significativo che il governo non si è arrischiato a indire un referendum per ratificare l’adesione. Invece ha lanciato una intensa campagna pubblicitaria per convincere i cittadini, all’arrivo della nuova moneta ha accompagnato una kermesse culturale che farà di Riga nel corso del 2014 la capitale europea della cultura, e che tra i suoi molti eventi avrà come clou la commemorazione della gigantesca catena umana che il 19 gennaio 1989 attraversò le tre repubbliche baltiche di Estonia, Lettonia e Lituania per chiedere pacificamente l’indipendenza dall’Urss, con deputati, personaggi pubblici e comuni cittadini si passeranno libri gli uni con gli altri. Insomma, adesso i possibilisti sull’euro sono diventati il 53%, anche se in maggioranza confessano di stare incrociando le dita per paura di uno scatenarsi dell’inflazione.
La difficile storia del Paese in rapporto al vicino ed ex-oppressore russo, però, spiega abbastanza se non un entusiasmo che in effetti non c’è, se non altro la disponibilità che contribuisce a considerarlo un male minore, un po’ come in Ucraina. Passata nel XVIII secolo sotto la Russia, indipendente dopo la Prima Guerra Mondiale, riannessa all’Urss con la Seconda, di nuovo indipendente nel 1991, la Lettonia ha tuttora una minoranza russofona che è oltre un terzo della popolazione, mentre i lettoni puri non oltrepassano il 52%, e il resto è costituito da altre etnie di provenienza sovietica. Il referendum con cui il 18 febbraio del 2012 il 71,1% degli elettori respinse l’idea di dare al russo lo status di lingua ufficiale in un clima di proteste per i 290.000 residenti russofoni che non poterono votare perché non è riconosciuta loro la cittadinanza danno l’idea di una tensione, in cui nel 2009 si inserì anche Giulietto Chiesa candidandosi alle Europee in una lista dei russofoni in una campagna elettorale su cui ha scritto anche un libro. Peraltro, sembra che sia anche in relazione ai tristi ricordi dell’epoca sovietica e alla dura esperienza della transizione al mercato post -1991 se i lettoni hanno accettato le medicine delle Troika senza protestare troppo. Semplicemente, c’è stata un’intera generazione che quando tra 2007 e 2010 la disoccupazione è schizzata dal 5,3 al 20,5% è andata a cercare lavoro all’estero, dove ora risiede almeno il 10% della forza lavoro.