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 2014  gennaio 02 Giovedì calendario

UN GRANDE GRUPPO MONDIALE PER GARANTIRSI IL FUTURO


Nel primo giorno del nuovo anno un accordo firmato negli Stati Uniti dalla Fiat crea il settimo gruppo automobilistico mondiale, con una componente italiana assai importante. Nasce un colosso globale, si aprono prospettive di sviluppo su mercati sempre più diversificati e con una gamma di marchi e modelli in espansione. E proprio grazie a questa strategia si consolidano in Italia anche importanti ricadute dal punto di vista della produzione e del lavoro.

A meno di cinque anni da quella scommessa americana che all’epoca suscitò stupore e non poche ironie, a distanza di un decennio circa da quell’era - erano i primi anni del 2000 - in cui la sopravvivenza stessa della Fiat appariva improbabile, l’accordo che dà al Lingotto il 100% della Chrysler e apre la strada alla fusione tra le due società appare infatti non solo un successo di uomini e strategie, ma una solida garanzia per il futuro industriale di chi a questo accordo partecipa.
In questi cinque anni l’ingresso di Fiat in Chrysler le ha permesso di raddoppiare le dimensioni, di cambiare le prospettive, di entrare in un mercato - quello Usa - dove fino ad allora non era stata
presente o lo era stata in modo marginale. Fino all’accordo di ieri, però, la realtà rimaneva quella di due società con grande storia e al tempo stesso con dimensioni individuali inevitabilmente ridotte per correre la gara globale. Adesso invece queste due società saranno legate per sempre e in modo inscindibile, con una presenza in tutti i continenti: leggere l’accordo come una semplice operazione tra Europa e Usa non fa infatti giustizia alle nuove geografie del mercato, dove l’America Latina conta più della stessa Europa e le vendite in Asia crescono più che in ogni altra area del mondo. Il modello voluto dall’amministratore delegato Sergio Marchionne e dal presidente John Elkann, del resto, ha già ben rodato l’integrazione tra Fiat e Chrysler: non siamo di fronte a una fusione tra realtà che non si conoscono, con le inevitabili difficoltà a integrare culture aziendali diverse e manager in competizione, ma a una naturale evoluzione del modello collaborativo già esistente nel quale i manager hanno già responsabilità su entrambe le società.


Gli effetti della prossima fusione con Chrysler sull’Italia saranno positivi, anzi in buona parte lo sono già stati. Senza l’integrazione sempre più stretta con il gruppo americano non ci sarebbe stata una spinta così forte sul segmento «premium», quello delle auto a maggior valore aggiunto, che nel corso del solo 2013 ha trasformato l’impianto di Grugliasco da un posto che non produceva e i cui dipendenti non avevano più da lavorare, in una fabbrica che da sola ha fatto registrare un sensibile aumento del Pil piemontese, alimentando l’indotto, e che vende la maggior parte dei suoi prodotti proprio negli Stati Uniti. Senza la Chrysler non ci sarebbe nemmeno la scommessa su Melfi, dove l’avvio della produzione della «piccola» Jeep potrà avvenire solo perché ci sono mercati internazionali che potranno assorbire questo modello. Gli stessi Elkann e Marchionne, nella loro lettera di fine anno ai dipendenti, hanno ricordato che nonostante la frenata del mercato europeo dell’auto e di quello italiano in particolare, «abbiamo preso alcune decisione coraggiose, che riguardano soprattutto gli stabilimenti italiani e che siamo convinti ci ripagheranno nei prossimi anni».
La lezione è ancora una volta quella che solo chi non si ferma può prosperare. E che la ricerca di una dimensione globale, che troppe volte ha fatto gridare in modo ingiustificato all’abbandono dell’Italia, oggi si conferma invece come l’unico modo per garantire un futuro - anche in Italia - a un grande gruppo industriale.
A fine gennaio i consigli d’amministrazione approveranno i risultati del 2013 e segneranno la strada per i prossimi adempimenti in vista della fusione. Sulla quotazione del nuovo soggetto non ci sono ancora certezze, ma l’esempio di Cnh Industrial, la società nata in settembre dalla fusione di Fiat Industrial e della sua controllata Cnh e che oggi è sui listini di Milano e di New York, è stata già citata alcune volte come un modello di successo che potrebbe essere adesso replicato per la nuova operazione. In aprile Marchionne presenterà al mercato il nuovo piano triennale del gruppo, che adesso potrà appunto contare sulla piena integrazione tra Fiat e Chrysler. Sarà più agevole spingere ancora sul segmento «premium», rivitalizzando l’Alfa Romeo e portandola anche al ritorno negli Stati Uniti, sviluppare il marchio Jeep che adesso guarda a mercati in espansione come Cina e Brasile, consolidare i risultati di Chrysler che è particolarmente forte negli Usa con la sua gamma di marchi, far crescere ancora - come è già previsto per quest’anno - la famiglia della 500. Sempre con la certezza che il futuro, per esserci, dovrà essere globale.