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 2014  gennaio 02 Giovedì calendario

I CUSTODI DEL BELLO NASCOSTO L’ANIMA SEGRETA DEGLI UFFIZI


Al mattino arrivano presto, quando la città manda i suoi primi sbuffi assonnati. Arrivano in quella che è una delle gallerie d’arte più belle del mondo, timbrano e poi si nascondono. Perché Marco Fiorilli, Demetrio Sorace e Michele Murrone sono il lato nascosto degli Uffizi di Firenze, l’ombra operosa che olia la macchina della bellezza. Sono i custodi dei tesori che non vediamo: gli addetti ai grandi depositi.
«Quando si parla di depositi, riferendosi alla Galleria degli Uffizi di Firenze — dice Fiorilli — non si deve pensare a uno sciatto scantinato, ma quasi ad un museo parallelo, con migliaia e migliaia di opere ordinatamente disposte a mo’ di quadreria, perfettamente curate. Quelle che noi non lasciamo mai sole». Non è un modo di dire: il 56enne Fiorilli lavora qui da trentacinque anni, come il collega (e quasi coetaneo) Sorace — Murrone, 44 anni, è stato assunto più tardi — e, nei decenni, non solo ha imparato ad amare la pittura e la scultura, ma ha stretto con queste un legame quasi affettivo, familiare, intriso di tenerezza.
È lo stesso direttore del museo, Antonio Natali, a indicare loro come «il trio che si occupa delle opere nascoste» con una passione inesauribile, oltre le mansioni, gli orari, i cartellini e gli obblighi. Catalogano i dipinti, ne studiano la provenienza, conoscono a memoria le vite dei pittori, sanno gli aneddoti che costellavano la vita di Pontormo o Bronzino, sanno che dietro quella tela c’è una firma dubbia o se un quadro famoso era inizialmente riposto in una custodia speciale. Il loro contributo, per dire, è prezioso nell’allestimento dell’ormai tradizionale mostra «Mai visti», quella che ogni anno, agli Uffizi, svela dei capolavori non esposti durante l’anno in galleria.
Marco, Demetrio e Michele vivono insieme ai Carracci, ai Botticelli, ai Raffaello, ai Manfredi e quando si riferiscono a questi grandi artisti la loro voce non ha nessuna sfumatura saccente né accademica né pretenziosa: ne parlano come se fossero dei parenti, degli amici. «Quel Barocci aveva una crepa ma l’abbiamo guarita — dice Fiorillo — così come abbiamo salvato una tela di Manfredi semidistrutta dalle bombe del ‘93. Il quadro era andato in mille pezzi ma noi lo abbiamo curato, ricucito, guarito. E adesso lo abbiamo appeso qui in deposito».
Si potrebbe leggere come una specie di memento: l’arte può morire se qualcuno non se ne prende cura, al di là delle strategie economiche, delle grandi mostre e del marketing. L’arte ha bisogno dei Fiorillo, uno di quelli che ogni mattina si mette i suoi guanti e controlla che tutto sia a posto: quella cornice non ha graffi, quella tela che rientra dal Louvre è intatta, quell’altra, pronta per essere fotografata ai fini di un catalogo, luccica di salute.
«Stando, per così dire, nell’ombra — dice Marco — si comprende anche il valore di certe professioni che raramente vengono alla luce, però sono importantissime nell’arte. Per esempio i restauratori. Non è che una tela viene acquistata e finisce subito in esposizione. Prima va esaminata, eventualmente restaurata. Per dire, era arrivata una Madonna del Barocci, bellissima ma malridotta e dei bravissimi specialisti l’hanno rimessa a posto». Se potesse, Fiorilli con i Botticelli ci dormirebbe. Perché ne conosce ogni ansa, ogni piega, ogni impercettibile difetto dovuto all’età. «Riconosci al volo quando una tela ha bisogno di cure — afferma — e quando invece è tardi. Da lontano vediamo se una cornice è in buono stato e il nostro lavoro consiste nel mantenerla tale».
Fiorilli si muove con agilità tra i pannelli perfettamente ordinati sui quali vengono sistemati i quadri. Per esempio, il loro deposito conserva circa mille autoritratti preziosi, a fronte dei circa 350 visibili al pubblico. Così, negli anni, ha sviluppato una vera passione per questo genere pittorico affascinante e misterioso. Più che altro perché lo fa sentire vicino all’artista stesso. «Resto incantato ore e ore a guardare un autoritratto ben fatto — confessa —. Ma, in generale, davanti all’arte, quella vera, me ne sto in contemplazione. Ecco perché non capisco le scolaresche poco disciplinate».
Se si prosegue nel piano dedicato al deposito, prima si incontra il passato (non sempre riconosciuto con esattezza, per esempio ci sono varie opere attribuite a Filippino e a Botticelli), capolavori non troppo conosciuti come la curiosa Madonna della Ninna (attribuita a Cimabue, è il ritratto della Vergine forse commissionato dalla Compagnia della Ninna) e infine sfilano anche artisti moderni, come De Chirico o Pistoletto, Rosai o Balla. Ma Fiorilli non si schioda dalla sua grande passione: «Botticelli, solo lui. Vede, quando uno fa il mio lavoro impara a far caso ai dettagli. I colori, per dire, l’abilità nel metterli insieme in modo da creare un altro mondo. Pochi come Botticelli hanno saputo inventarsi questa composizione perfetta di toni».
Ecco, la passione e torniamo sempre lì. Di più, l’amore per il bello ha trasformato un addetto tecnico in un amante dell’arte, in un conoscitore dei dettagli. Forse i musei potrebbero ripartire da queste figure, nascoste, certo, eppure indispensabili, che ogni giorno vegliano sulla salute del patrimonio culturale italiano.