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 2014  gennaio 02 Giovedì calendario

«L’INDUSTRIA? VINCE SE HA IL CORAGGIO DI GUARDARE OLTRE LA CRISI»


MILANO — Solo una decina di anni fa sarebbe stato impensabile che la Fiat potesse conquistare un colosso americano dell’auto come Chrysler. Il Lingotto aveva pure rischiato di finire nell’orbita della General Motors. E invece «Fiat ha giocato la sua strategia di sopravvivenza sull’alleanza con Chrysler» spiega Giuseppe Berta, professore di Storia contemporanea alla Bocconi, quando nel 2009 Torino decise di entrare nel capitale del gruppo di Detroit.
«Quella operazione ha garantito due soggetti — prosegue Berta —. È stata l’alleanza di due debolezze: in questo momento però il mix è più favorevole negli Stati Uniti, Chrysler ha riguadagnato posizioni di mercato mentre in Europa e in Italia l’industria automobilistica soffre. Ma noi non corriamo il rischio di perdere la produzione dell’auto. Questa alleanza permetterà di riposizionare la nostra produzione su una maggiore qualità, come è nei piani di Marchionne e come l’operazione Maserati sta dimostrando. Anche il rilancio del marchio Alfa Romeo non poteva essere fatto solo con le forze Fiat, ora si fa più concreto con Chrysler».
L’intesa raggiunta con Veba, il fondo sanitario del sindacato americano Uaw, fa emergere per Berta «la miglior qualità di Sergio Marchionne: è uno strepitoso negoziatore. È riuscito a concludere con grande vantaggio un accordo che ha anche avuto momenti difficili e di tensione». I numeri dell’operazione ne sono la prova. «Il sindacato aveva chiesto 5 miliardi di dollari, invece Marchionne, che era disposto a darne molti di meno, è riuscito ad ottenere di versare nell’immediato solo 1,75 miliardi e 1,9 miliardi di dividendi. In più ci sono 700 milioni di dollari in quattro rate. Non dovrà ricorrere a un aumento di capitale né alle banche, sarà sufficiente la liquidità Fiat». È stato un «accordo lungamente elaborato ed efficace, su Veba – spiega Berta – ha pesato il fallimento del Comune di Detroit, che ha reso difficile il welfare in quell’area. C’era la volontà a tenere un buon accordo con l’azienda. E quei 700 milioni di dollari al sindacato vanno letti in questo modo». Ma soprattutto l’amministratore delegato del gruppo Fiat «si è avvalso di una buona strategia per la creazione del consenso. Ha scelto come negoziatore Ron Bloom, che è sì un banchiere d’affari di Wall Street ma è anche gradito ai sindacati». Nel 2011 era Bloom ad essere a capo della task force di Obama sull’industria automobilistica. Alla fine Bob King, il presidente del potente sindacato United Auto Worker (Uaw), ha capitolato e ha accettato le condizioni di Marchionne, che «è stato molto abile». Osserva Berta che il ceo del Lingotto «ad un certo punto ha smesso di parlare dell’operazione Chrysler in Italia e lo ha fatto sempre e solo negli Stati Uniti». «Che si fosse vicini alla chiusura dell’accordo – conclude Berta – poteva essere intuito dalla decisione di non fare il consueto incontro di fine anno con il management. Si prestava a due letture: che ci fosse qualcosa nell’aria e Marchionne non volesse dire nulla, oppure che si riservasse l’annuncio per capodanno». E così è stato.