Chiara Palmerini, Panorama 31/12/2013, 31 dicembre 2013
I TRAPIANTI
Non riuscivo più neppure a leggere una storia la sera ai miei figli piccoli, interrotta continuamente dalla tosse che mi faceva rischiare una crisi respiratoria». A 35 anni Raffaella Bruno-Pinto ha ricevuto un doppio trapianto di polmoni: i suoi non funzionavano più. La diagnosi: polmonite interstiziale non specifica, causa sconosciuta. Ora ha una vita normale, lavora, scia, va in bicicletta, viaggia. «Prendo tutti i giorni farmaci antirigetto, ma è un piccolo prezzo da pagare».
Da gennaio 2013 a oggi in Italia sono stati eseguiti 2.043 trapianti, ma nello stesso periodo oltre 9 mila persone hanno atteso la chiamata che può salvare loro la vita. Quella telefonata però potrebbe farsi attendere sempre più a lungo poiché, mentre crescono le liste d’attesa, resta stabile il numero dei donatori, oltretutto sempre più anziani. E non sempre i loro organi sono utilizzabili. Da tempo si parla della possibilità di creare pezzi di ricambio per il corpo: i risultati per i pazienti potrebbero arrivare a partire dal 2014 e negli anni successivi: nel futuro immediato, tecniche e macchine per migliorare ciò che già è a disposizione; più avanti, forse, organi su misura per i pazienti.
Data la scarsità degli organi per chi ne ha bisogno, l’imperativo è ottimizzare quelli disponibili, cosa non sempre facile. Il polmone, per esempio, «è un organo fragile, si deteriora prestissimo. Riusciamo a usare non più del 10 per cento di quelli donati» spiega Luca Voltolini, responsabile del trapianto polmonare dell’Azienda ospedaliera universitaria senese. Nuove tecniche sono in sperimentazione per superare il problema. I polmoni da scartare vengono recuperati con un metodo di perfusione che li «asciuga» da eventuali edemi e li guarisce da altri danni. Il passo successivo sarà utilizzare anche organi che potrebbero essere infettati, trattandoli con dosi massicce di antibiotico, metodo già testato in Canada e in Gran Bretagna.
Sempre per ottenere più organi, un’equipe australiana ha provato con successo a rianimare fuori dal corpo del donatore morto cuori che avevano smesso di battere, tenendoli in vita in attesa del trapianto fino a quattro ore. Per i cuori donati (trapiantati 183 volte nel 2013 in Italia), poi, uno dei problemi è la loro età. Mentre, in teoria, il fegato di un 90enne può andare bene, il cuore, come anche i polmoni e il pancreas, è scartato se il donatore ha più di 55 anni.
La prospettiva più nuova è disporre di un cuore interamente artificiale. Finora sono stati utilizzati dispositivi che sostituiscono una singola parte del cuore malato, ma sono solo ponti in attesa del trapianto. Ora si sta sperimentando un cuore bionico che dovrebbe sostituire in tutto e per tutto 1 organo naturale. Sì chiama Carmat, progettato dal cardiochirurgo francese Alain Carpentier insieme all’industria aerospaziale Eads: pesa 900 grammi, mima la contrazione del muscolo cardiaco e contiene sensori per adattare il flusso sanguigno ai bisogni del portatore. I test clinici sono iniziati, potrebbe ottenere l’approvazione a inizio 2015. Il costo, impressionante, è tra 140 e 180 mila euro.
La notizia ha fatto scalpore alcuni mesi fa: in laboratorio sono stati creati «minicervelli» artificiali da cellule staminali derivate dalla pelle umana, fatte crescere su un gel sintetico e infuse con ossigeno e sostanze nutritive. Più che encefali, sono agglomerati gelatinosi grandi quanto un pisello, cresciuti fino a raggiungere la parvenza del cervello di un feto di poche settimane. Come ha dichiarato a Nature Jurgen Knoblich, uno degli autori, «la sorpresa è che abbia funzionato». Questa tecnica rappresenta l’inizio della possibilità di ricreare tessuto cerebrale. Ricercatori in Giappone hanno invece creato da cellule staminali gemme di fegato che, trapiantate in topi con insufficienza epatica, si sono integrate con l’organo e hanno svolto il loro lavoro.
Altra faccenda è creare un organo tridimensionale pienamente funzionante in un essere umano. Anche qui, però, le prospettive sono interessanti. Biologi e ingegneri dei materiali stanno tentando di ricreare organi solidi a partire dalla loro impalcatura naturale. La cosiddetta matrice extracellulare è ciò che resta di un organo una volta che tutte le cellule sono state lavate via. Il suo compito non è solo tenere l’organo nella sua forma, ma anche fornire istruzioni per il suo sviluppo e nutrirlo. Seminando le staminali di un paziente su questa impalcatura, da donatore o di origine animale, dovrebbe essere possibile ridare vita a un intero organo. La sfida è difficilissima nel caso del cuore, complesso e vascolarizzato. Ci sta provando Harald Ott che, nell’Università di Harvard, è riuscito a ricreare in un bioreattore un cuore battente (per un topo) con il 25 per cento della capacità normale. E a trapiantare un polmone creato nello stesso modo in un ratto, e reni in altri animali. Ci vorrà ancora tempo, ma forse non molto, per qualche applicazione. «Sarei sorpreso se nei prossimi cinque anni non vedessimo i primi pazienti cui vengono impiantati parte di un’arteria, lobi di polmone o di fegato» ha detto Stephen Badylak, esperto di medicina rigenerativa dell’.Università di Pittsburgh.
Un altro approccio usa stampanti 3D per creare un organo strato dopo strato, a partire da un’impalcatura artificiale. Per ora sono dimostrazioni: un rene in miniatura, non funzionante ma in tutto simile all’originale. Poco, da una parte; tantissimo se si pensa che il primo rene è stato trapiantato nel 1954: 60 anni fa.