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 2013  dicembre 29 Domenica calendario

GLI SCHIAVI DI IERI


CAPRI – UN PUGNO ALLO STOMACO CHE LASCIA LO SPETTATORE IMMOBILE, AGGRAPPATO A UN FIL DI FIATO. QUALCUNO DEL PUBBLICO CHE, ADDIRITTURA, NON RESISTE ED ABBANDONA LA SALA. È stata un’anteprima-choc quella di 12 anni schiavo che l’altra sera ha inaugurato il Festival Capri-Hollywood. Firmato dal regista inglese di origine sudafricana Steve Mc Queen, vincitore del Premio del Pubblico al Festival di Toronto, candidato a ben 7 Golden Globe e lanciatissimo nella corsa ai prossimi Oscar, il film è un atto di accusa tremendo e inappellabile per quella vasta parte degli Stati Uniti, dal Texas alla Louisiana, dalla Georgia all’Alabama, che si è macchiata di un crimine contro l’umanità fra i più gravi: lo schiavismo.
Tratto da un’autobiografia, 12 anni schiavo (in sala da febbraio) racconta la storia vera del violinista nero Solomon Northrup che, nel 1841, nonostante fosse un uomo libero, sposato e con due bambini, venne rapito, venduto, e deportato in una piantagione di cotone in Louisiana come schiavo, dove rimase fino al 1853.
A quel tempo, le leggi degli Stati Uniti non erano uniformi, pertanto a Washington (dove avvenne il rapimento) la schiavitù era legale, mentre non lo era a New York, dove viveva Northrup. Responsabili dei 12 anni di schiavitù del musicista di colore furono due bianchi, che con l’inganno di una ricca proposta di lavoro in un circo lo attirarono nella capitale, lo fecero ubriacare e lo derubarono dei documenti che provavano il suo status di uomo libero.
Steve Rodney Mc Queen, nero, 44 anni, è sicuramente un regista di talento, i suoi precedenti film Shame e Hunger sono due sonde calate nel buio dell’animo umano che esplorano straordinariamente il lato oscuro dell’uomo. Stavolta, però, non c’era spazio per intuizioni geniali e tormentate: la discriminazione razziale e lo schiavismo praticato odiosamente nel Sud degli Usa, fino all’abolizione imposta da Lincoin, sono temi largamente divulgati che poco si prestano a originalità informative.
Così, sfidando la sensibilità degli spettatori più fragili che sono usciti dalla sala, Mc Queen. sostenuto da attori eccellenti, quali il suo preterito Michael Fassbender (sadico proprietario di schiavi), gli efficaci protagonisti neri Chiwetel Ejiofor e Liopita Nyong’o, i feroci aguzzini Paul Giamatti e Paul Dano (mentre è influente il cameo buonista di Brad Pitt), ha scelto la strada della violenta più cruda, alla maniera di Mel Gibson ne La passione di Cristo, indugiando ripetutamente sulle scene di tortura e mostrando da vicino le lacerazioni delle frustate e le sofferenze infernali inflitte a uomini, donne e ragazzi di origine africana. Lacerazioni che, secondo il regista (e non solo), non possono essere rimarginate con un frettoloso processo di rimozione (nonostante Obama presidente). E, forse, sono nel giusto il virtuoso singer senegalese Badarà Seck («Per gli africani il consumismo occidentale, attualmente, è una nuova forma di schiavismo, talvolta persino mortale») e Gemma Vecchio, presidente della onlus Casa Africa, che a Capri-Hollywood ha definito l2 anni schiavo: «Un lutto. Non riesco a sentirlo come un’opera d’informazione. Per me, questo film è un lutto, che dopo lo schiavismo americano, continua a perpetuarsi, anche oggi, con i drammi dei rifugiati e le tragedie del mare, non lontano dalle nostre coste».