Diego Motta, Avvenire 2/1/2014, 2 gennaio 2014
MICRON, QUEL CHE RESTA DELLA FINANZA HI-TECH
«I lavoratori Micron sono uguali ai lavoratori St», è scritto su uno striscione appeso fuori dai cancelli del grande polo tecnologico di Agrate Brianza, nel cuore della Lombardia. In quel che resta della Silicon Valley del Nord Italia, un distretto hi-tech che in pochi chilometri annoverava fino a poco tempo fa multinazionali migrate su altri lidi, il passaggio al nuovo anno è stato vissuto all’insegna della massima incertezza. Centinaia di lavoratori del gruppo americano Micron, leader nel settore delle memorie, chiedono garanzie sul loro futuro occupazionale, oggi quanto mai nebuloso. Circa la metà dei cervelli attualmente impiegata ad Agrate, infatti, verrà trasferita nella sede di Vimercate, nel nuovo centro delle Torri Bianche. Secondo alcuni, sarà un passaggio cruciale per attuare un vero e proprio smantellamento dell’azienda. Qui entra in gioco St Microelectronics, la multinazionale italo-francese quotata in Borsa, che si è resa disponibile per «riassorbire» la parte restante di lavoratori in uscita da Micron. Ecco il perché di quelle parole, che fotografano un senso di smarrimento profondo: di fronte alla Grande Crisi, è come se ci fosse stato chi ha agito con senso di responsabilità e chi no, invece. Quel che interessa ai ricercatori dei due gruppi, però, è la stessa cosa: assicurarsi un domani le stesse condizioni di lavoro del passato, a prescindere dalle strategie internazionali dei diversi gruppi.
Nel 2010, erano stati gli americani ad acquisire Numonyx, una sorta di spin off di St, che aveva comunque tenuto una quota del 49%. Delle 2mila persone coinvolte nel progetto, ne sono rimaste oggi soltanto 1.100. Per Gigi Redaelli, segretario generale della Fim Cisl Brianza, siamo di fronte «al comportamento tipico di alcune multinazionali: acquisire per brevi periodi nuove società e poi disinvestire, andando a produrre in altre aree del mondo, in questo caso in Giappone». Così però si finisce per impoverire un intero territorio, com’è già accaduto in passato con vertenze ben conosciute a queste latitudini, da Celestica a Telettra: il grande gruppo separa i business più produttivi dagli altri, ma lo scorporo quasi mai va a buon fine e a pagare dazio sono i lavoratori. Da Ibm a Nokia Siemens, fino ad Alcatel, operazioni in questa direzione che non hanno avuto successo non sono mancate nell’ultimo decennio. «Per questo oggi nessuno vuole uscire dagli stabilimenti di Agrate – osserva il sindaco della cittadina brianzola, Ezio Colombo –. Parliamo di realtà importanti per il territorio, che andrebbero salvaguardate e valorizzate da piani di politica industriale degni di questo nome. Invece nel nostro Paese si trovano i fondi per salvare dalla bancarotta aziende decotte e non si tutelano invece piccoli e grandi gioielli del sistema produttivo». L’atto di accusa, in questo caso, riguarda anche St Microelectronics, che pure ha continuato ad assumere, a ritmi di 120-150 ingegneri l’anno. Ad Agrate, dove i dipendenti della multinazionale del silicio sono 4.500 (più altrettanti nell’indotto) non è piaciuta l’intenzione di Palazzo Chigi di inserire la società tra i gruppi da privatizzare, mossa su cui poi l’esecutivo ha fatto retromarcia (dopo le proteste dei diretti interessati). «Basta guardare la differenza che c’è tra gli investimenti pubblici fatti in Italia e quelli fatti in Francia, dove le risorse messe a disposizione per la crescita e lo sviluppo di St sono sei volte tanto la quota prevista nel nostro Paese», spiega Redaelli. Nel frattempo, la mobilitazione della comunità locale è stata compatta, come ha dimostrato la manifestazione promossa dai sindacati a inizio dicembre, che ha avuto il consenso di Comune, Provincia e Regione. «Bisogna tenere alta la guardia su quel che succederà nei prossimi mesi» avverte il sindacalista della Fim Cisl. A Natale i lavoratori della Micron hanno messo in atto la protesta del panettone, consegnando il ’regalo’ aziendale a Caritas, Banco alimentare e cooperative locali. «Non ci servono panettoni – hanno scritto le Rsu – ma garanzie concrete sul nostro futuro». Ecco perché nel mirino del personale sono finiti ultimamente anche i dirigenti italiani, a cui i sindacati chiedono un intervento di mediazione con la proprietà straniera. «Quel che resta della Silicon Valley lombarda – dicono i sindacati – non può permettersi altre battute d’arresto».