Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  dicembre 30 Lunedì calendario

VIOLA E PROFUMO TEMONO CHE SENZA DI LORO

L’AUMENTO SIA IMPOSSIBILE –

Se ne andrà o no dalla presidenza del Monte dei Paschi? Il toto-Profumo, almeno al momento, non appassiona il suo soggetto principale, ossia lo stesso Alessandro Profumo. Ieri, dopo la sconfitta in assemblea da parte del suo principale azionista, il presidente di Mps si è concesso una domenica di riposo rimandando ogni decisione ai prossimi giorni. Ma l’argomento già da stamattina potrebbe animare non poco l’andamento del titolo in Borsa.
Di fronte a una rottura come quella consumata sabato gli spazi di ricucitura appaiono davvero esigui, se non addirittura nulli. Da una parte la Fondazione grida al tradimento da parte dei manager - Profumo e l’amministratore delegato Fabrizio Viola - che essa stessa ha presentato per il cda e votato; dall’altra il management che considera l’atteggiamento dell’ente senese guidato da Antonella Mansi peggio che miope. Il gran tessitore delle Fondazioni Giuseppe Guzzetti aveva offerto ai senesi una soluzione “di sistema” che avrebbe consentito loro di non diluirsi tragicamente anche con l’immediato aumento di capitale. Ma quella soluzione, che tecnicamente avrebbe potuto funzionare nonostante la Compagnia di San Paolo se ne fosse sfilata, è stata rigettata proprio dalla Fondazione Mps, convinta di poter ottenere di più, mantenendo per quanto possibile invariata la sua quota del 33,5%, attraverso strade alternative. Da qui la decisione del rinvio, che secondo il management mette a rischio l’autonomia stessa della banca.
Il divorzio tra azionista di maggioranza e vertice dell’istituto apparirebbe quindi obbligato, se non fosse che Profumo e Viola, che in questi lunghissimi mesi nella trincea senese hanno stretto un buon rapporto, ritengono che sulle loro spalle pesi una responsabilità supplementare. Senza loro due, e senza la loro credibilità sul mercato - è la tesi su cui riflettono in queste ore - l’aumento che è stato fatto slittare a giugno rischia di essere non solo difficile, ma addirittura impossibile. E senza aumento la banca non ha altra strada che quella della scomparsa come entità autonoma, inghiottita da un altro gruppo - sempre a patto che ci sia chi, con molto coraggio e pochi soldi, voglia avventurarsi in questa vicenda - o nazionalizzata. Proprio questa responsabilità potrebbe contribuire a tenerli, a patto che la Fondazione sia dello stesso avviso. Qualche stimolo all’ente guidato dalla Mansi potrebbe venire dal Tesoro, che fino a ieri è stato del tutto silente. Forse l’esito della battaglia di Siena non è ancora del tutto scritto. Lo scopriremo nei prossimi giorni seguendo le mosse di una Fondazione che rischia di celebrare una vittoria di Pirro e di due manager che devono ancora decidere se la peggiore sconfitta sia quella appena subìta in assemblea o quella di un Monte che crolli. Con una postilla. In questa guerra di potere e di contrade Profumo si è davvero scocciato di vedersi appiccicare addosso l’etichetta di uomo di cattivo carattere che lo segue dagli anni rampanti in Unicredit. Quel che ha subito seraficamente a Siena da quando è salito alla presidenza, ha spiegato spesso, dovrebbe servire per staccargli di dosso una volta per tutte quel marchio insopportabile che si porta suo malgrado cucito.