Eugenia Tognotti, La Stampa 30/12/2013, 30 dicembre 2013
UN PAESE CHE PREFERISCE I MITI ALLA SCIENZA
A ben vedere, c’è un legame, e assai stretto, tra il caso Stamina e la scomposta reazione di gruppi di animalisti e affini contro una giovane donna malata, Caterina, che per aver difeso la sperimentazione animale è stata fatta oggetto di una sequela rivoltante di insulti. Le componenti sono diverse. Si può cominciare con la sfiducia, se non la vera e propria avversione, nei confronti della scienza e degli scienziati.
Sfiducia da cui deriva la crisi dei rapporti tra scienza e società, cosicché lo sviluppo scientifico e le applicazioni tecnologiche sono percepiti come apportatori di rischi sia per l’ambiente naturale che per la salute umana. Per continuare con l’ignoranza scientifica e il vuoto di un’educazione di base da cui derivano il diffondersi e il persistere di ideologie, credenze e falsi miti, cosa che ostacola l’accesso alla conoscenza, favorendo l’assunzione di decisioni politiche dannose per il progresso (Di Bella, Ogm, e, appunto, Stamina).
Insomma, dopo il «caso Vannoni», tocca alla rovente polemica di questi giorni sull’uso degli animali da esperimento raccontare la crisi di sfiducia nella scienza. Sulla sperimentazione animale, una questione cruciale, da cui dipende la capacità di progredire nella spiegazione dei meccanismi che provocano le malattie, e, quindi, tanta parte della sofferenza umana, si vorrebbe discutere con serenità e distesamente, senza scontrarsi con un’avversione pregiudiziale agli argomenti contrari. Cominciando, ad esempio, col ricordare che gli esperimenti sugli animali hanno svolto un ruolo fondamentale in una parte grande delle scoperte mediche dell’ultimo secolo, i vaccini, gli antibiotici, gli anestetici usati in tutte le forme di chirurgia. Aggiungendo, ancora, che gran parte dei progressi nel campo delle infezioni, dell’eziologia, della patogenesi e terapia del cancro, dell’immunologia e dell’immunopatologia, della chirurgia, in modo particolare della cardiochirurgia, si devono a sperimentazioni su animali. E proseguendo col raccontare una storia che ha quasi cento anni e che rappresenta uno degli esempi più spettacolari del contributo della ricerca sugli animali per il progresso medico. Si tratta della scoperta dell’ormone insulina che ha fatto sì che molti milioni di persone affetti da diabete abbiano avuto salva la vita come del resto molti cani diabetici. Gli autori di quella straordinaria scoperta – Frederick Banting e John J. Mcleod (poi insigniti del premio Nobel) – non avrebbero mai potuto condurre i loro esperimenti in un piccolo laboratorio dell’Ontario se non avessero potuto accedere agli animali di ricerca, i cani, sottoposti alla legatura chirurgica del dotto pancreatico, che portarono ad isolare la sostanza misteriosa che avrebbe controllato il diabete –. Altri tempi, certo. Ai nostri giorni, accusano coloro che si oppongono all’uso di animali da esperimento, è possibile il ricorso a metodi alternativi (es. uso di colture in vitro ecc.), cosa che farebbe pensare che, disponendone, crudeli ricercatori, colpevolmente indifferenti alla sofferenza degli animali, non ne facciano uso, come invece avviene regolarmente negli istituti di ricerca. Il fatto è che, al momento, è impossibile riprodurre malattie generiche ricostruendo un organo in vitro o riprodurre la crescita e la disseminazione metastatica dei tumori. I ricercatori sanno fin troppo bene che la corrispondenza tra animali da esperimento e uomo non è sempre perfetta. Tuttavia, quando si ritiene plausibile l’efficacia di un nuovo farmaco per una data malattia, si procede a esperimenti pre-clinici, su animali da esperimento, per testarne la tossicità ed eventualmente l’efficacia. Solo in seguito si procede alle sperimentazioni cliniche. E’ proprio l’uso degli animali che, fornendo le prime informazioni, consente di procedere alle prove sull’uomo in accettabile sicurezza. Dovrebbero forse, quegli scienziati e quei ricercatori, testare i nuovi farmaci direttamente sugli esseri umani, uomini, donne e bambini?