Stefano Mancini, La Stampa 30/12/2013, 30 dicembre 2013
IL CAMPIONE SENZA LIMITI OSSESSIONATO DALLA VELOCITÀ
La velocità come una ragione di vita. Michael Schumacher non ha mai saputo farne a meno: sui kart quando era ancora un bambino e via via su monoposto sempre più veloci fino alla Formula 1, poi una parentesi con le moto, il ritorno in F1 nel 2010. E d’inverno, nella pausa dei motori, quella passione per lo sci che lo aveva contagiato durante il periodo in Ferrari. Sempre al limite.
A fine 2006, dopo aver detto addio alla Formula 1, era il ritratto del pensionato felice, una bella famiglia, un conto in banca da sceicco, la gloria e i record. Eppure non ha mai funzionato quella vita tranquilla. Dalle quattro ruote era passato alle due, e aveva scoperto quanto è duro l’asfalto: un brutto incidente nel 2009 a Cartagena l’aveva spedito in ospedale con un paio di vertebre malconce. Pochi mesi dopo la Ferrari gli offrì di tornare al posto di Felipe Massa che era in ospedale. Fu come la sigaretta per il fumatore che ha smesso da anni: bastò quell’idea, quell’assaggio per riscatenargli la passione. Non potè rientrare quell’anno proprio per le conseguenze della caduta in moto, ma ormai il baco della velocità l’aveva di nuovo assalito.
La Mercedes coglie l’occasione, lo contatta: una casa tedesca, un pilota tedesco. Accetta perché è più forte di lui, e nel 2010 lo ritroviamo in pista. Dentro, la voglia e l’entusiasmo sono quelli di un fanciullo. La passione è immutata, il fisico no. Andrà più piano del previsto, gli passeranno davanti i ragazzini dell’ultima generazione. Correrà rischi enormi in pista pur di alimentare quella voglia insaziabile di velocità. Poi, a fine 2012, il secondo addio. Definitivo stavolta, perché i riflessi e il colpo d’occhio non sono più gli stessi.
Torna in pensione, stavolta abbandona l’agonismo. Ma la passione resta, fa parte del pilota: non si diventa il più vincente della storia senza quel fuoco dentro che non si spegne con il passare degli anni. Gli restano i go kart di famiglia, quell’impianto a Kerpen, nel Nord della Germania, che è un gioiello di pista su cui ha percorso i primi chilometri il suo erede Sebastian Vettel. E d’inverno lo sci. Sempre con il casco, sempre in sicurezza. Sempre con la voglia di arrivare vicino al limite, e anche di superarlo, come è stata tutta la sua carriera. A Madonna di Campiglio, dove andava in settimana bianca con la Ferrari, gli hanno dedicato un canalone che ha il settanta per cento di pendenza, dove amava gettarsi per avere quello schizzo di adrenalina a cui non sapeva rinunciare. Sempre con un maestro a fianco. O più sovente alle spalle, perché era difficile andare forte come lui.
La velocità come una ragione di vita. Michael Schumacher non ha mai saputo farne a meno: sui kart quando era ancora un bambino e via via su monoposto sempre più veloci fino alla Formula 1, poi una parentesi con le moto, il ritorno in F1 nel 2010. E d’inverno, nella pausa dei motori, quella passione per lo sci che lo aveva contagiato durante il periodo in Ferrari. Sempre al limite.
A fine 2006, dopo aver detto addio alla Formula 1, era il ritratto del pensionato felice, una bella famiglia, un conto in banca da sceicco, la gloria e i record. Eppure non ha mai funzionato quella vita tranquilla. Dalle quattro ruote era passato alle due, e aveva scoperto quanto è duro l’asfalto: un brutto incidente nel 2009 a Cartagena l’aveva spedito in ospedale con un paio di vertebre malconce. Pochi mesi dopo la Ferrari gli offrì di tornare al posto di Felipe Massa che era in ospedale. Fu come la sigaretta per il fumatore che ha smesso da anni: bastò quell’idea, quell’assaggio per riscatenargli la passione. Non potè rientrare quell’anno proprio per le conseguenze della caduta in moto, ma ormai il baco della velocità l’aveva di nuovo assalito.
La Mercedes coglie l’occasione, lo contatta: una casa tedesca, un pilota tedesco. Accetta perché è più forte di lui, e nel 2010 lo ritroviamo in pista. Dentro, la voglia e l’entusiasmo sono quelli di un fanciullo. La passione è immutata, il fisico no. Andrà più piano del previsto, gli passeranno davanti i ragazzini dell’ultima generazione. Correrà rischi enormi in pista pur di alimentare quella voglia insaziabile di velocità. Poi, a fine 2012, il secondo addio. Definitivo stavolta, perché i riflessi e il colpo d’occhio non sono più gli stessi.
Torna in pensione, stavolta abbandona l’agonismo. Ma la passione resta, fa parte del pilota: non si diventa il più vincente della storia senza quel fuoco dentro che non si spegne con il passare degli anni. Gli restano i go kart di famiglia, quell’impianto a Kerpen, nel Nord della Germania, che è un gioiello di pista su cui ha percorso i primi chilometri il suo erede Sebastian Vettel. E d’inverno lo sci. Sempre con il casco, sempre in sicurezza. Sempre con la voglia di arrivare vicino al limite, e anche di superarlo, come è stata tutta la sua carriera. A Madonna di Campiglio, dove andava in settimana bianca con la Ferrari, gli hanno dedicato un canalone che ha il settanta per cento di pendenza, dove amava gettarsi per avere quello schizzo di adrenalina a cui non sapeva rinunciare. Sempre con un maestro a fianco. O più sovente alle spalle, perché era difficile andare forte come lui.