Carlo Bertini, La Stampa 30/12/2013, 30 dicembre 2013
MARIO TRONTI E GLI AUGURI “BORGHESI” DI BUON ANNO
Che il filosofo Mario Tronti, classe 1931, senatore Pd dell’era bersaniana, sia il padre dell’operaismo degli anni ’60, è cosa nota. Che Tronti sia pure lo zio di Renato Zero invece sono in pochi a saperlo. Ma al di là di questa curiosa parentela, per sapere di che pasta è anche fatto l’amalgama del Pd, val la pena conoscere la singolare formula d’auguri che questo storico ex comunista ha inviato agli amici del Centro Studi per la riforma dello Stato che presiede, alcuni dei quali sono pure suoi colleghi parlamentari. Un messaggio di cui val la pena citare alcuni passi, perché restituisce la foto di famiglia del partito Democratico in tutte le sue sfaccettature, compresa quelle di una sinistra di lungo corso e magari un po’ d’antan, che forma un bel contrasto se mischiata alla generazione 2.0 salita al potere.
«Cari amici, care amiche, compagne e compagni, come avrete notato anche negli anni precedenti, vi dico solo buon Natale, non anche buone feste, tanto meno felice anno nuovo. Considero queste due ultime espressioni, auguri borghesi. Il Natale, invece, il mistero del Dio incarnato, che rovesciò il mondo degli uomini, dal sotto al sopra e una volta per sempre, ci appartiene. Non è necessario credere, per appartenere all’Avvento», scrive ancora Tronti. Che formula «un invito al silenzio», citando un testo del frate cappuccino svizzero, docente all’Università di Friburgo, Giovanni Pozzi. Con la premessa che «ci aspettano nuovi fronti di battaglia, dura, tutta contro vento. Prima di riprendere la critica del presente, l’arma del silenzio contro la dittatura della chiacchiera, dà sicurezza e forza».
Ed ecco qualche estratto dal Pozzi: «...Ci sono tre categorie di silenzio, collegate alla parola: di chi la formula, di chi l’ascolta, di chi la conserva. Bisogna trovare entro la solitudine gli spazi dove coltivare questi silenzi, scoprire come possano vivere con un interlocutore che parli tacendo»....«Del silenzio, il libro, deposito della memoria, antidoto al caos dell’oblio, dove la parola giace, ma insonne, pronta a farsi incontro con passo silenzioso a chi la sollecita. Amico discretissimo, il libro non è petulante, risponde solo se richiesto, non urge oltre quando gli si chiede una sosta. Colmo di parole, tace...».