Anna Bandettini, La Repubblica 30/12/2013, 30 dicembre 2013
EMMA DANTE
ROMA Nel 2001 una giovane regista palermitana di poco più di trent’anni, scioccava critici e pubblico con il suo primo spettacolo, mPalermu, travolgente nella rappresentazione di una Palermo esplosiva, “condizione dell’anima”. Era una ex attrice diplomata all’Accademia Silvio D’amico che per anni aveva aspettato la ribalta con la sua giovane compagnia, SudCostaOccidentale, indipendente e senza un soldo. Poi l’onda lunga del rinascimento teatrale siciliano degli anni Novanta, quella di Franco Scaldati, Scimone e Sframeli, Davide Enia... la prepotenza di una personalità d’autore, il temperamento da combattente del quotidiano, l’hanno lanciata lontana. Emma Dante ha tenuto testa al pubblico della Scala, dell’Opèra Comique di Parigi e perfino ai diffidenti critici della Mostra del cinema di Venezia con il suo primo film via Castellana Bandiera, dal carattere sperimentale ben presente nel suo teatro. Oggi, ha 46 anni, l’aspetto è più da signora, il look sempre dark, sempre grandi collane sull’imponente décolleté, sempre Rocco accanto, il cane che compare anche nel film e che ora non smette di abbaiare. Dicono che è una dura, che si impunta, che strepita, che è fuori misura, ma è il suo modo di combattere e ora finalmente si vede riconosciuta come una grande artista. C’è attesa per il debutto, il 22 gennaio al Mercadante di Napoli (poi dal 29 a Roma al Palladium con la Fondazione Romaeuropa), del nuovo spettacolo, Le sorelle Macaluso, che in luglio approderà - ed è la prima volta per Emma - al festival di Avignone (coproduttore con lo Stabile di Napoli e il Théatre National di Bruxelles): dentro ci sono i suoi temi, amori e sopraffazioni, ossessioni profonde e slanci angelici, con sincerità bruciante. Ma prima c’è l’esordio assoluto come regista al Teatro Massimo di Palermo dove il 18 inaugura la stagione con Feuersnot di Richard Strauss, la direzione di Gabriele Ferro e le scene di Carmine Maringola, suo marito. È il segno della riabilitazione di Palermo alla sua artista più celebre e antagonista, tanto più che Emma Dante sarà anche nella rinascita dell’altra istituzione culturale cittadina, il Teatro Biondo, dove il nuovo direttore, lo scrittore Roberto Alajmo, l’ha voluto come artista residente. «Ero abituata a lavorare fuori casa: finita la giornata mi ritrovavo in luoghi dove la memoria dei sentimenti è astratta. Ora esco dalle prove e sono alla Vuccirìa, tra strade e persone dove sono cresciuta, faccio la spesa, il salumiere mi saluta, mi chiede anche come è andata, se il tenore ha fatto o no i capricci...».
Anche questo è il segno che è arrivata.
«Arrivata? A Palermo si dice “tabbuto” che è la cassa da morto, perchè è lì che uno può dirsi “arrivato”. E poi “arrivata” mi fa sentire un po’ in colpa».
E di che?
«Di queste porte aperte nelle ribalte ufficiali. È una cosa bella e pericolosa perchè entri in un mondo che non è il tuo. Però penso che raccogliere i frutti a un certo punto sia giusto. Non si può stare sempre in lotta. Sono stanca di guerre. Chi come me ha 40-50anni, cresciuto incazzato, irremovibile, ora è tempo di sorridere. Ma continuando a stare all’erta»
Che vuol dire stare all’erta?
«Che voglio continuare a essere precaria anche in un luogo attrezzato come il Massimo, che non voglio fare cose convenzionali perché sono in un luogo della convenzione. Ma allo stesso tempo non mi sento più arrabbiata. Entro in teatro sorridente e questo mi piace. L’arte è qualcosa che ti può allontanare dal mondo anche in modo violento, che ti rende solo... Ma si cambia. La rabbia è della giovinezza, poi si deve trasformare. Non in rassegnazione, ma in febbre, in quel leggero malessere che tiene svegli».
E lei adesso come sta?
«Sì, un po’ di febbre c’è.
Feuersnot è un’opera difficile, anche se è una favola. Io ho giocato sull’identificazione tra il mago protagonista e Strauss che, esattamente come il mago, non si sentiva compreso dalla sua città, Monaco. Così quando nella storia il mago abbandona tutto per amore, nel mio spettacolo lascia spartiti e strumenti musicali. La cosa strana è che di solito i miei lavori sono bui. Qui è tutta una luce, uno sberluccicare...
Sarà Palermo».
Come ci si trova?
«Prima era come se non esistessi, ora che sono entrata nell’ufficialità, esisto. Palermo è una città difficile, nella qualità di vita, nei servizi, nelle problematiche. Deve vincere l’indolenza descritta da Tomasi di Lampedusa, quella immobilità che è paura, dovuta ai motivi che sappiamo, legati a certa consuetudine mafiosa ».
Al Biondo avrà più responsabilità: da lì potrà cambiare di più.
«Le decisioni sono del direttore. Io mi occuperò della scuola, vorrei fare un centro che attiri qui i ragazzi del nord».
Che spettacolo sarà Le sorelle Macaluso?
«È tanto che ci lavoro e tra due anni vorrei farlo diventare un film. È uno spettacolo poetico, sospeso, con una grande interpretazione delle attrici, di cui sono molto contenta. È la storia di sette sorelle, del figlio di una, del padre e della madre. Siamo al funerale di una di loro, ma anche la morta lo ignora, perché è come se i morti non riuscissero a staccarsi dai vivi e i vivi dai morti. Non c’è violenza, stavolta. Tutto è tenero, dolce. È un abbraccio, una carezza».
Perchè ha questa ossessione per i morti?
«Perché ce li ho accanto. Non parlo di fesserie come sedute spiritiche o cose così, ma di persone perdute che continuano a stare con noi. E d’altra parte vedo anche persone vive che sono morte, sopraffatte da una rassegnazione che è come la morte».
E lei com’è?
«Viva. Forse anche troppo. Mi dovrei un po’ calmare».