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 2013  dicembre 30 Lunedì calendario

CARSON, MISSIONE MAGGIORDOMO: QUANTI INTRIGHI A DOWNTON ABBEY


«La vita è l’acquisizione di ricordi. Alla fine, è tutto qui», dice Charles Carson, il maggiordomo interpretato da Jim Carter in «Downton Abbey». E per un maggiordomo dell’aristocrazia inglese di inizio Novecento, i ricordi sono tutti legati alla casa in cui presta servizio e di cui finisce per diventare l’anima. Charles Carson lo è di Downton Abbey. A quel castello lui somiglia più di tutti: sempre presente, inamovibile, fiero. La sua facciata, impeccabile, è un messaggio verso il resto del mondo. È la dichiarazione della sua ragione di vita: cercare di mantenere le cose come sono sempre state. Nonostante i mutamenti del tempo, nonostante le tragedie della storia. Nella terza stagione di questa serie che in Inghilterra e negli Stati Uniti ha avuto un successo quasi senza precedenti, trasmessa in cento Paesi nel mondo tra cui l’Italia, dove su Rete4, in prima serata, vanno in onda i nuovi episodi (il prossimo il 2 gennaio), Carson tenta con ogni sforzo di riportare l’ordine che c’era prima della guerra.
Prima che la sua adorata magione diventasse un convalescenziario. «Il mondo sta cambiando e Carson cerca disperatamente di lottare contro la marea del cambiamento. Vuole riportare l’orologio indietro nel tempo: combatte una battaglia persa in partenza», ha dichiarato l’attore che dal 2010 interpreta il ruolo che più di tutti gli ha regalato popolarità.
Il suo sguardo, severo controlla tutto quello che accade nella tenuta. Nelle lussuose stanze dove l’aristocrazia più british cerca ostinatamente di resistere ai colpi della modernità, ma anche nei piani bassi: nelle cucine e nelle più meste camerette dove i numerosi inservienti vivono e lavorano. Il maggiordomo rappresenta l’alfiere della cosa giusta da fare che il più delle volte è ciò che meglio aderisce all’etichetta, alla conservazione delle apparenze. Perennemente concentrato, mai un cedimento. Inossidabile anello di congiunzione tra il piano di sotto e quello di sopra, che conosce ugualmente bene, anche negli aspetti più segreti. Un arbitro finale del comportamento corretto il cui fascino ha trasceso le epoche tanto che — proprio da quando è andata in onda «Downton Abbey» — la domanda di maggiordomi inglesi è raddoppiata.
È stato dimostrato che devono dire thank you proprio al signor Carson, visto che le famiglie milionarie di tutto il mondo si sono fatte contagiare dal suo allure richiedendo esplicitamente una figura che riuscisse a introdurre nelle loro case «il vecchio stile dell’eleganza britannica così ben rappresentato nella serie tv». Una sola agenzia di formazione per maggiordomi, a Londra , ha trovato lavoro per 430 di loro quest’anno: il doppio delle richieste arrivate l’anno scorso e quattro volte il numero di quelle per il 2010, anno in cui ha debuttato «Downton Abbey».
Carter, anche potendo, non ne vorrebbe uno: «Non saprei che farmene. Ma sono un fan delle buone maniere». E se dovesse adottare qualcosa dell’epoca che rappresenta, gli piacerebbe «vivere in un mondo senza cellulari. Al castello di Highclere — dove si gira la serie — per fortuna non c’è il segnale».
Finzione e realtà finiscono per confondersi e gli effetti del successo di questa serie tv si vedono ormai anche nella quantità di turisti che arriva nelle location — prima non molto frequentate — della serie. «Vengono da tutto il mondo per visitare il castello: c’è stato un boom enorme», ha ricordato l’attore aggiungendo anche che è bello come sembra, anche se «alcune delle novanta stanze prima che arrivassimo erano quasi in rovina. È faticoso mantenere un posto così».
Lo si capisce anche dalla serie, dagli sforzi che fa il maggiordomo per preservare inalterata quell’etichetta a cui sembra più affezionato dell’aristocrazia stessa. Come una specie di nonno di una volta, una figura che incute timore ma che al tempo stesso è pronta ad ascoltare, Carson cerca di fare in modo che il rigore non venga mai meno nei due mondi — quello dei nobili e quello degli inservienti — in cui non c’è una parte buona e una cattiva. Lo scrittore premio Oscar Julian Fellowes non ha ceduto alla tentazione di rendere i ricchi meno buoni dei poveri. Ed è forse una delle ragioni del successo della serie. Anche se Carter ha un’altra spiegazione: «Il nostro è un soggetto originale. Molti film in costume sono basati su romanzi. Di Jane Austen o di Dickens, in ogni caso sai quello che succederà. Con “Downton Abbey” no. Inoltre, in un’epoca in cui la tv è tanto cinica e si sofferma così spesso sul lato peggiore della natura umana, la nostra serie riesce ad essere in qualche modo romantica».