Giorgio Cosmacini, Corriere della Sera 30/12/2013, 30 dicembre 2013
SCIENZA E CAVIE UNA QUERELLE INIZIATA NELL’800
Nel 1864 Firenze stava per diventare la provvisoria capitale politica e intellettuale dell’Italia da poco unificata. Nel fiorentino Istituto di studi superiori venivano reclutati, per svecchiare la medicina e farle rimontare il distacco che la separava da quella dei più progrediti Paesi d’Oltralpe, alcuni luminari della scienza medica mitteleuropea, quali, fra gli altri, il fisiologo francofortese Moritz Schiff e il suo assistente Aleksandr Herzen, figlio dell’omonimo scrittore e uomo politico russo. Schiff mise subito a rumore l’intellettualità e l’opinione pubblica affermando che per far progredire la medicina era indispensabile fondarla, come le altre scienze, sul metodo sperimentale e che tale metodo, in una scienza avente per oggetto la vita umana, non poteva prescindere dalla sperimentazione sopra gli animali. Apriti cielo! Il suo saggio dal titolo «Sopra il metodo seguito negli esperimenti sugli animali» (1864) venne definito da Niccolò Tommaseo come un florilegio di «imbrogliate bestemmie germaniche» e fu vituperato dalle dame del bel mondo e dagli animalisti dell’epoca. Lo sperimentatore, dopo essere stato trascinato in tribunale, alla fine della vicenda se ne partì indignato per l’affronto subito. Il suo assistente Herzen avrebbe avuto modo, dieci anni dopo, di riabilitarne l’impresa con il saggio «Gli animali martiri e i loro protettori» (1874), negando il martirio degli animali trattati e ribadendo la necessità di una medicina sperimentalmente fondata.
Quarant’anni dopo, nel 1904, allo scienziato russo Ivan Pavlov venne assegnato il premio Nobel per la sua «Teoria dei riflessi condizionati», tra cui quelli osservati nel cane che, incannulato con un sondino nel pancreas, secerneva secreto dapprima dietro stimolo carneo, poi dietro tale stimolo associato al suono di un campanello e infine solo al suono del campanello medesimo. Il metodo pavloviano prescindeva dalle tecniche neuroanatomiche (per le quali il nostro Camillo Golgi avrebbe preso il Nobel due anni dopo), considerate valide a spiegare soltanto l’attività nervosa «elementare», e si fondava sulla osservazione del comportamento animale nella sua complessità, esplicativa dell’attività nervosa «superiore». Il metodo, basato sulla sperimentazione animale, consentirà alla fisiologia di associarsi alla psicologia e permetterà alla psicofisiologia neonata di ricercare e trovare un suo spazio peculiare destinato a essere colmato da importanti sviluppi. Il che non sarebbe avvenuto rinunciando a sperimentare, con le dovute cautela e delicatezza, sull’«amico dell’uomo».