Guido Olimpio, Corriere della Sera 30/12/2013, 30 dicembre 2013
QUEL BATTAGLIONE DI VENTI VEDOVE NERE PRONTE AL MARTIRIO
Per infliggere i loro colpi, gli estremisti del Caucaso hanno creato una piccola armata. Giovani militanti, determinati e senza remore nel mietere vite di innocenti. Spesso, al loro fianco, le vedove nere. Una delle prime ricostruzioni ha indicato in Oksana Aslenova la responsabile dell’attacco a Volgograd. Altre fonti hanno poi parlato della presenza di un giovane, con uno zaino sulle spalle, e di un’altra donna tutti dilaniati dalla bomba. Se fosse confermato il ruolo di Oksana sarebbe la ripetizione di un modus operandi. Lei, che ha visto morire i suoi mariti negli scontri con i soldati, ha deciso di trasformarsi in una bomba che cammina. Ha indossato la carica esplosiva e si è fatta saltare ieri nella stazione. Lo stesso percorso di una sua amica Naida Asiyalova, responsabile di un attentato su un bus sempre nella stessa città, e di Madina Aliyeva, 25 anni, legata a due compagni «martiri» vendicati facendo strage di militari. In altri casi sono stati i mujaheddin a portare a termine la missione distruttrice o a piazzare un ordigno.
Storie di uomini e donne che si aggiungono a quelle di 46 ragazze protagoniste di attacchi suicidi nell’arco di un ventennio. Un elenco incompleto, in quanto altre sono morte senza che vi fossero testimoni o cronache a raccontarlo. Una falange strumento di lotta e simbolo di chi ritiene di non aver più speranza o futuro. Talvolta manipolate, altre volte fermamente convinte che sia giusto obbedire agli ordini di Doku Umarov, capo dell’Emirato del Caucaso, il movimento che minaccia la regione cerniera ed è deciso a sabotare i giochi olimpici a Sochi.
Gli attacchi non sono certo una sorpresa. Umarov, in estate, dopo mesi di contrasti con altri dirigenti separatisti sull’opportunità di colpire o meno i civili, ha lanciato il suo messaggio. E via Internet ha chiesto di mandare un «segnale forte» per impedire lo svolgimento delle Olimpiadi.
Alla sfida locale si è aggiunta quella internazionale. I ceceni vogliono far pagare al Cremlino l’appoggio incondizionato e decisivo in favore del regime di Damasco. I separatisti sostengono la rivolta dei fratelli siriani e non solo con le parole. Sono centinaia i volontari caucasici presenti nelle file dell’insurrezione. Una saldatura temuta da Mosca che da mesi ha mobilitato risorse importanti per proteggere i Giochi pur consapevole della difficoltà dello scontro. Così è iniziata una partita mortale. Vladimir Putin ha dato carta bianca ai servizi segreti, autorizzando l’Fsb ad una massiccia attività di controllo. Intercettazioni a tappeto, raccolta indiscriminata di dati, fermi, arresti. In Cecenia e Daghestan, oggi punto focale della tensione, hanno fatto lo stesso. Pochi giorni fa, il vice ministro degli Interni ceceno Apti Alaudinov ha esortato i suoi uomini ha usare ogni metodo: «Se avete possibilità di infilare nella tasca di un sospetto false prove, fatelo. Se volete eliminare qualcuno, uccidetelo». Repressione feroce che non porta soluzioni ma solo altro odio. Il dittatore pro-russo che regna a Grozny, Ramzan Kadyrov, è tornato a sostenere(come in passato) che Umarov fosse morto. Sortita alla quale gli avversari hanno risposto diffondendo un video, di difficile datazione, per provare il contrario.
Schermaglie ininfluenti sul corso della sfida dei militanti. Insieme ai colpi di mano, gli estremisti hanno curato l’addestramento di altri kamikaze e «vedove», forse in un centro creato lontano dalla zona operativa. Informazioni non confermate parlano di almeno venti ragazze «diplomate». In un’altra base avrebbero preparato gli uomini. È molto probabile che il massacro di Volgograd sia l’inizio della campagna. Mancando ancora più di un mese ai giochi i militanti dell’Emirato vogliono accentuare la pressione e, al tempo stesso, lanciare un messaggio ai Paesi che parteciperanno alla competizione. Mossa propagandistica e terroristica che potrebbe costare molto. A tutti.