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 2013  dicembre 29 Domenica calendario

GOVERNO, A FAR CROLLARE TUTTO POTREBBE ESSERE IL SOBRIO MONTI


La nemesi di Mario Monti: l’ex premier già presidente della Bocconi, dopo le dimissioni e un breve passaggio in minoranza nel partito da lui stesso fondato, ne ha assistito alla scissione condita da beghe e inestinguibili rancori. Oggi, del progetto nato per innestare la linfa operosa della società civile nella vecchia politica, non restano che tronconi litigiosi in via di dissolvimento. E mentre lui, l’ex Supermario che piegò Microsoft, guarda di nuovo a un incarico europeo, i suoi epigoni si preparano a usare uno dei più potenti strumenti della Prima Repubblica: il rimpasto - noblesse oblige: «rinnovamento» - della squadra di governo.

La nemesi di Enrico Letta: sfidare le leggi della politica scommettendo sullo strappo di Alfano, vincere la sfida del ricambio generazionale, marginalizzare Berlusconi dopo vent’anni di protagonismo, per poi finire sulla graticola a opera di un partito bonsai che i sondaggi accreditano di un 2%. In sintesi: il 46enne premier che ha cercato di scrollarsi di dosso il passato dc potrebbe finire vittima di un ex premier 70enne che di democristiano ha avuto solo l’epilogo. Dato che la rivendicazione - «autonoma da altre componenti della maggioranza» giurano i Civici - potrebbe saldarsi con la voglia di sparigliare che anima i renziani. Significativa anche l’arma del delitto: quel Manuale Cencelli che si credeva di aver seppellito anche grazie ai protagonisti dell’attuale fase politica.
E invece no. Tutto comincia il weekend del 16 novembre, con ben due scissioni in contemporanea. Berlusconi accelera la convocazione dell’assemblea che riesuma Forza Italia, spingendo Alfano verso nuove avventure. Ma, con minor clamore, anche Scelta Civica si divide: i montiani si riprendono il partito, con Stefania Giannini segretario, Bombassei confermato presidente, e due vice: l’ex ministro Balduzzi e la Borletti Buitoni. E l’ala popolare di Mario Mauro, ma anche Olivero e Dellai, fondano i gruppi Per l’Italia in asse con l’Udc del deluso Casini.

Mangiato il panettone, i nodi vengono al pettine. Vale a dire: i due ministri di area, Mauro e D’Alia, sono usciti da Sc. Che si sente sottorappresentata. La Giannini chiede un «riequilibrio nella linea politica e all’interno del governo». Il capogruppo alla Camera Andrea Romano e l’omologo Lorenzo Dellai se le danno a mezzo stampa.
«La composizione del governo risale a un’era antica - accusa Romano, che gli ultimi boatos parlamentari darebbero in uscita verso Renzi - D’Alia clientelare, Mauro passato non si sa se all’Udc o al Ncd. Lui e Casini sleali con Monti». Replica offeso Dellai: «Toni sprezzanti, non si può tornare al Cencelli, l’Italia ha altre priorità». Sferza. «Siamo andati via da un partito di ottimati dove non c’era abbondanza di ottimati».

La contesa è aperta. I montiani vogliono un ministro: Pietro Ichino allo Sviluppo Economico al posto di Flavio Zanonato. In quel caso, rinunciando a prendersi qualcuno dei sottosegretari vacanti dopo l’addio di Forza Italia. L’asse Popolari-centristi resiste: «Hanno il ministro Moavero Milanesi, il vice-ministro Calenda, il sottosegretario Borletti Buitoni». E mettono nel paniere “civico” pure la Cancellieri, che però è frutto di un accordo di maggioranza con il beneplacito del Quirinale.

Uno, peraltro, dei nomi a rischio sostituzione. Renzi le ha fatto la guerra sull’affaire Ligresti, Letta l’ha difesa in asse con il Quirinale, mettendo la sua faccia sulla salvezza della Guardasigilli. Adesso il premier è indebolito dallo scacco del Salva Roma, e l’attacco concentrico del plotone renziano e della pattuglia montiana può riuscire nell’intento.

Tutto sta a capire se il sindaco di Firenze cavalcherà apertamente la carta del rimpasto. È vero che al Senato Scelta Civica è in grado da sola di far ballare l’esecutivo. Soprattutto dopo l’allarme rosso sul decreto poi ritirato, dove molti sussurrano che a Letta e Franceschini mancassero i numeri per portarlo a casa. Ed è altrettanto vero che gli ormai ex montiani hanno bisogno di visibilità e risultati rapidi. Perché Monti ha una traiettoria distinta e distante. E c’è chi dice che dietro l’attivismo di Antonio Tajani per diventare uno dei nuovi coordinatori azzurri ci sia proprio l’incertezza sulla sua riconferma come commissario all’industria della Commissione Europea.