Sergio Romano, Corriere della Sera 29/12/2013, 29 dicembre 2013
UNA SVIZZERA DI EMIGRANTI SOLDATI, ARCHITETTI, ARTISTI
In questo periodo tutti parlano di migrazioni (quella verso il nostro Paese dal Sud del mondo e quella dei nostri giovani in cerca di lavoro) e ricordano il nostro passato di emigranti; ma nessuno rammenta che — in alcuni periodi — dalla Svizzera emigravano verso di noi. Una prima ondata di emigrazione avvenne a metà del 1500, composta per lo più da soldati di ventura (per i quali la Svizzera era famosa) e casari. Probabilmente fuggivano dagli eccessi del Calvinismo (a quel tempo Ginevra doveva sembrare come Kabul oggi!) verso i confini della Repubblica Veneta che arrivava fino a Bergamo e Lodi ed era molto più comprensiva dei cattolicissimi spagnoli che governavano a Milano. Un nuovo periodo di emigrazione dalla Svizzera avvenne fra metà ‘800 e il primo ‘900 e fu caratterizzato dalla presenza di personaggi di alto livello quali, ad esempio, l’editore Hoepli, gli imprenditori del tessile Legler e Honegger; e ricordo che anche la maggioranza dei soci della neonata squadra di calcio Inter erano svizzeri. Per quale motivo il Nord del nostro Paese a quel tempo attirava l’emigrazione d’élite? Mi auguro solo di non dover aspettare altri 200 anni per un’inversione di tendenza del genere.
Gino Codella
Caro Codella,
Le ricordo anzitutto che Ulrico Hoepli chiamò in Italia un giovane svizzero, Giovanni Scheiwiller, fondatore a sua volta di una piccola casa editrice che divenne nazionale quando il figlio Vanni ne prese la guida. Il catalogo delle edizioni Scheiwiller è apparso recentemente presso l’editore Unicopli a cura di Laura Novati.
Come Hoepli, tutti gli svizzeri che scelsero l’Italia verso la fine dell’Ottocento furono attratti dai molti progressi realizzati dopo la formazione dello Stato unitario, dalla nascita di una borghesia nazionale e dai primi segni di una rivoluzione industriale e bancaria che avrebbe fortemente accelerato la crescita economica del Paese agli inizi del Novecento. Ma gli svizzeri furono sempre migranti. Nei pressi di Ginevra, a Pregny Chambésy, esiste un elegante Museo degli Svizzeri nel mondo in cui è raccolta una interessante documentazione sulle grandi correnti migratorie della Confederazione e sulle personalità di spicco — da Rousseau alla famiglia Necker, dai grandi architetti agli imprenditori, dai leader religiosi agli scienziati — che la Svizzera ha «esportato» nel mondo.
Una delle maggiori correnti migratorie fu quella dei militari. Dopo la sconfitta dei cantoni confederati contro la Lega franco-veneta a Marignano nel 1515, e dopo il trattato di pace perpetua firmato allora con il re di Francia, la Svizzera mise il grande talento militare dei suoi abitanti al servizio dei maggiori Stati europei. Erano mercenari, ma dotati di una straordinaria etica professionale; e il primo Stato ad arruolarli fu quello che li aveva visti all’opera sul campo di battaglia. Nella prima sala del Museo di Pregny Chambésy vi è un grande busto marmoreo di Luigi XIV che gli svizzeri considerano ironicamente uno dei loro maggiori «datori di lavoro». Nessuno, nemmeno nella Francia repubblicana, ha dimenticato il loro sacrificio alle Tuileries nel 1792 quando l’intero reggimento morì per sottrarre Luigi XVI alla rabbia del suo popolo.
Un’altra corrente migratoria non meno importante è quella degli scalpellini ticinesi, presenti per parecchie generazioni nei cantieri di molte chiese e cattedrali dell’Europa centro-meridionale. Quegli artigiani sono gli antenati di una lunga schiera di architetti, creatori di chiese e palazzi dall’Italia alla Russia: Francesco Borromini, Carlo Maderno, Le Corbusier, Mario Botta. Come in questo, anche in altri casi gli svizzeri nel mondo hanno sempre sofferto di una sorta di malinteso linguistico. Quelli con un nome francese (Benjamin Constant o il linguista Ferdinand de Saussure, tanto per fare qualche esempio) vengono automaticamente accreditati alla Francia; quelli con un nome italiano (lo scultore Giacometti, il saggista e filologo padre Giovanni Pozzi), vengono accreditati all’Italia; e quelli con un nome tedesco (Max Frisch, Friedrich Dürrenmatt, lo psicoanalista Carl Gustav Jung, il compositore Arthur Honegger) vengono accreditati alla Germania. Oltre a prestare soldati agli eserciti, la Svizzera ha anche prestato scrittori, artisti, scienziati a tutta l’Europa. Anch’io sarei felice, caro Codella, se continuasse a fare qualche prestito umano all’Italia.