Michele Farina, Corriere della Sera 29/12/2013, 29 dicembre 2013
I BAMBINI BOLIVIANI: LASCIATECI IL LAVORO MINORILE
A 9 anni sul tetto delle Ande: il californiano Tyler Armstrong ha appena conquistato con il suo papà l’Aconcagua (6.962 metri). E’ orgoglioso dell’impresa: «I miei coetanei normalmente giocano ai videogames». Non tutti: sotto quelle vette ci sono migliaia di bambini e ragazzi come Rodrigo Medrano, che proprio a 9 anni ha cominciato a frequentare un’altra montagna famosa, il Cerro Rico. Più che salirci, ci è entrato. Ha fatto il minatore. Adesso che ne ha 15 Rodrigo è un attivista dell’Unatsbo, il sindacato dei bambini: in Bolivia il lavoro minorile è protetto dalla Costituzione (salvo 23 attività sulla carta considerate «pericolose»), ma i politici adesso vogliono vietarlo. E il sindacato dei bambini è sul piede di guerra.
Vogliono difendere il loro diritto al lavoro. E le loro conquiste, che saranno paradossali ma restano pur sempre conquiste: i piccoli venditori ambulanti di giornali per esempio organizzandosi hanno visto raddoppiare la paga. Difendono la loro realtà: in Bolivia un minore su 3 lavora. Su 10,5 milioni di abitanti ci sono 850 mila lavoratori sotto i 18 anni, mezzo milione tra i 6 e i 14, tra le foreste e gli altopiani della nazione più povera del continente. Un esercito di infanti minatori, fabbricanti di mattoni, lustrascarpe e lustratombe come Lourdes Sanchez Cruz, 15 anni, eyeliner e poncho fatto a mano, che il giornale tedesco Die Zeit ha seguito tra le cappelle del cimitero di Potosì, all’ombra del Cerro Rico e delle sue gallerie dove sudano tremila bambini. Nei giorni buoni Lourdes riesce a pulire quattro o cinque tombe e a essere pagata dalle famiglie. Non vuole fare la fine di suo padre, minatore a vita con i polmoni rovinati. Vuole studiare, ma per questo — dice — ci vogliono i soldi: lei ha guadagnato i primi centesimi lavando i piatti in un ristorante quando aveva 12 anni. I dati dell’Unicef dicono che il 39% dei baby lavoratori in Bolivia continua ad andare a scuola, mentre il 4% non ci ha mai messo piede. Una delle scorse notti Lourdes ha viaggiato con altri compagni fino a Cochabamba per una riunione (a cui non erano invitati) della commissione parlamentare incaricata di studiare il lavoro minorile. Che esiste ma non è tutelato abbastanza: «Non ci sono contratti né documenti — dice Lourdes — molti di noi sono picchiati, defraudati del salario, e nessuno paga se ci facciamo male. Nel mondo ipocrita del futuro saremo ancora più vulnerabili». Fino a poco tempo fa il Parlamento di La Paz stava valutando addirittura di abbassare l’età del primo impiego a 6 anni. Adesso invece, pressati dalle organizzazioni internazionali che minacciano di togliere gli aiuti alla Bolivia, i politici sembrano aver preso la strada opposta. Scatenando le proteste dei piccoli lavoratori schierati contro il nuovo Codice dell’Infanzia (divieto di lavorare sotto i 14 anni), la cui approvazione prevista entro fine anno è stata rinviata a gennaio.
Una guerra di classe (elementare), altro che videogames: nei giorni scorsi in diverse città la polizia ha disperso i baby manifestanti con i lacrimogeni. Il presidente Evo Morales ha ricevuto una delegazione e si è schierato dalla loro parte: «Non dobbiamo impedire il lavoro minorile ma il suo sfruttamento» ha detto il presidente: eliminare el trabajo infantil vorrebbe dire secondo lui «eliminare la coscienza sociale». Non è chiaro se le parole di Morales, che pure ha cominciato a sudare da piccolo nelle piantagioni di canna da zucchero e di coca, possano bloccare il nuovo codice. I politici parlano, i genitori spingono i figli a lavorare, i figli non hanno scelta. Henry Apaza, 13 anni, venditore ambulante di sigarette nella città di El Alto e delegato del movimento: «Non possono togliere il lavoro a chi è costretto a lavorare per le circostanze della vita». Alvaro ha 17 anni: a 8 con la nonna era un piccolo guardiano all’entrata di una miniera, a 12 puntava un grande trapano nelle viscere dure del Cerro Rico. Si è strappato i tendini, è diventato amico di Lourdes che un anno fa gli ha consigliato di cambiare. Adesso Alvaro fa il garzone presso un meccanico di auto. Anche lui ha fatto parte della delegazione a Cochabamba: hanno saltato un giorno di lavoro con Gerardo che di solito spinge carriole, Jaime che cuoce mattoni, Alfredo che ha 17 anni ed è capo famiglia da quando ne aveva 8 e morì suo padre. Si sono presentati all’albergo con piscina dove si teneva il convegno. I politici della commissione parlamentare hanno concesso al loro portavoce 5 minuti. Alfredo ha concluso così il suo intervento: «Se proprio dovete abolire il lavoro minorile, fatelo un passo alla volta». Lourdes la lustratombe massimalista è uscita delusa. Il presidente della Commissione Javier Zavaleta ha commentato: «Se non fosse una cosa triste, ci sarebbe da ridere: i bambini sono i primi a sostenere il diritto al lavoro minorile».